Rafael Spregelburd è un autore argentino oggi molto noto in Europa (in Germania i suoi testi e le sue regie costituiscono ormai un cospicuo dossier). In Italia, oltre ai due volumi pubblicati da Ubulibri della sua Eptalogia ispirata a Hyeronimus Bosch, sono stati i due allestimenti di Luca Ronconi al Piccolo Teatro a dargli celebrità. Quello più recente, Il panico, decisamente tra i capolavori recenti del regista. Ma Spregelburd a Buenos Aires, oltre che drammaturgo, è anche regista dei suoi testi, e attore. In quella dimensione «felice» di eterna crisi, perfino ora che dopo una dozzina d’anni uno scossone finanziario rimette a repentaglio l’economia di quel paese, il teatro pare costituire una delle poche sicurezze (assieme alla psicanalisi applicata nelle più svariate forme alla vita quotidiana) degli argentini, più riottosi degli europei ad ingozzarsi di telenovelas e talk show davanti alla tv.

Questo almeno sostiene lui, Spregelburd, che è venuto in Italia per qualche settimana a preparare un proprio lavoro, che ha debuttato nei giorni scorsi al teatro San Giorgio di Udine, nell’ambito di Contatto, la stagione del Css. Il titolo è già spiazzante: Furia avicola, anche se il riferimento all’influenza temibile diffusa dai polli allude soprattutto ai luoghi comuni, un po’ faciloni, che si trasformano irrimediabilmente in leggende metropolitane. E in oggetto di accaniti dibattiti, endemici e talvolta anche ridicolmente accademici, le cui basi scientifiche si perdono facilmente, per propagarsi invece ai massimi sistemi. Anche da parte di minimi interlocutori.

Ne sono esempio tre momenti (due più compiuti e uno tra loro come una sorta di intermezzo) in cui si articola la serata intitolata appunto all’influenza aviaria. Il primo episodio affronta niente meno che la fine dell’arte, partendo dall’iniziativa della combattiva vecchietta, «pittrice della domenica», che dalle parti di Saragozza ha ritoccato un venerato dipinto dell’Ecce Homo in una mostruosità simile a una scimmia «Ecce Mono». Le sciocchezze e i commenti si moltiplicano fino a farsi teoria generale dell’arte. Un chiacchiericcio che tutti possono riconoscere, e l’utilità valutare, anche se qualcuno riesce a costruirci sopra una carriera.

L’intermezzo affronta direttamente la fine del reale, intesa come rottura del confine con il virtuale, a partire dal pupo che non azzecca la mira del cucchiaino con la pappa, ma lancia con buona mira gli angry birds contro i maialini sullo schermo del tablet (donde il titolo generale Furia avicola).

Infine, ed è la parte che meglio funziona, non solo teatralmente, tema centrale diventa la fine del denaro come misura del valore di ogni cosa, di cui si dimostra invece il peso puramente virtuale e convenzionale. Qui, seguendo le vicende di un abito venduto e ricomprato tra colleghe, negozi e speculatori in un qualche ufficio pubblico, si tocca con mano, e col pensiero, la precarietà contraddittoria della merce nel capitalismo avanzato, e decotto. Quella sensazione di bolla fallace che chiunque prova anche solo andando al grande magazzino o alla bancarella del mercato, e che qui viene movimentata da episodi «laterali» che aprono altri interrogativi paralleli, come il tormentone dei bagni degli uffici e della loro privacy; o come, a inizio spettacolo, tocca alla candela infilata «risolutivamente» da una delle impiegate sotto la gonna. Il tema, nonostante le «deviazioni» dei discorsi, o forse anche grazie ad essi, cattura lo spettatore, portandolo in una sfera di scetticismo che poi, fuori del teatro, non è difficile ritrovarsi a vivere.

È un buon esempio lo spettacolo, soprattutto nella parte finale, del teatro «destrutturato» come in Argentina viene vissuto e sviluppato. Spregelburd spiega e teorizza (anche nell’incontro a fine serata) come nel suo paese non vi sia alcun interesse, al massimo un’alzata di spalle, rispetto al valore tutto europeo del teatro classico, della sua memoria e della sua tradizione. Certo lo spettacolo dà con la sua lingua e la sua drammaturgia, una sonora spallata alla montagna di luoghi comuni dietro i quali si scherma la nostra quotidianità. Resta da vedere quanto quell’urto possa aiutare ad uscirne, dopo le risate e gli effetti innegabili di questa Furia avicola. Che è stata messa in scena dallo stesso autore argentino assieme alla sua traduttrice italiana Manuela Cherubini, con attori provenienti dalla Ecole des maitres di cui lui è stato uno dei docenti. Gli attori si divertono, e tra loro risultano particolarmente sicuri il portoghese Amandio Pinheiro e la turca (di origine, ormai affermata da noi) Deniz Özdogan.