Il museo del muro. Si trova proprio accanto al checkpoint Charlie, il varco doganale più famoso della storia della guerra fredda e della divisione tra le due Berlino. Può darsi che la scelta del luogo abbia una caratura simbolica, ma può anche darsi che no. In ogni caso, riporta il sito di Radio Free Europe, è proprio lì che Mikhail Khodorkovsky terrà oggi, alle tredici, una conferenza stampa. La prima dal suo rilascio, avvenuto venerdì sulla base della grazia concessagli dal Cremlino. Subito dopo l’ex oligarca è volato nella capitale tedesca, dove dovrebbe incontrare uno alla volta i familiari. Il figlio maggiore Pavel, arrivato da New York, è stato il primo a rivederlo.

L’incontro con i giornalisti potrebbe chiarire alcune delle domande che ci si è posti, su di lui, nelle scorse ore. Intende restare all’estero o rientrare in Russia? Vuole fare politica e continuare, da uomo libero, la sua battaglia contro Putin? È vero che ha chiesto la grazia perché temeva che contro di lui sarebbe stato istruito un terzo processo? Non è da escludere, tuttavia, che l’ex oligarca non abbia intenzione di snocciolare certezze.

Se su questo punto si potrebbe rimanere nel vago, il ruolo tedesco nella scarcerazione di Khodorkovsky ha preso invece una sua forma, grazie al politologo Alexander Rahr, forse il più accreditato esperto di cose russe che c’è in Germania. È uno dei pochi che ha saputo da subito della trattativa intessuta da Hans-Dietrich Genscher, l’ex ministro degli esteri tedesco, per portare Khodorkovsky fuori di cella. E ha appena raccontato a Der Spiegel come sono andate le cose.

Tutto è cominciato due anni e mezzo fa, quando Genscher lo ha convocato per un colloquio, spiegandogli che avrebbe lavorato sul caso Khodorkovsky. Nell’intervista non si specifica altro, su quell’incontro. Forse il vecchio ministro ha chiesto semplicemente qualche dritta, qualche impressione, qualche contatto. Comunque sia, da quell’istante Rahr è entrato nella piccola cerchia di persone che sapevano dei negoziati.

Rahr non si sbottona più di tanto, vuoi perché – così dice a Der Spiegel – il suo contributo non è stato di primissimo piano, anche perché ha solennemente promesso a Genscher di non spifferare troppi dettagli. Ma pur senza scendere troppo in profondità, fa intravedere qualcosa d’interessante. Ad esempio è stato proprio Rahr a tradurre dal tedesco al russo le lettere, non affatto poche, che Genscher ha spedito a Mosca.

L’analista, che venerdì ha accompagnato Genscher all’aeroporto di Berlino, facendo da interprete tra lui e Khodorkovsky, ha anche rivelato che l’ex ministro ha incontrato due volte Putin e che non ha mai delegato, mettendoci sempre la faccia e facendo sì che nulla, neanche una briciola d’indizio, trapelasse pubblicamente.

E Angela Merkel? Quanto peso ci ha messo? Rahr confessa di non avere troppi elementi, su questo, ma segnala che la cancelliera è sempre stata tenuta al corrente della vicenda.

La cosa che però più di ogni altra suscita attenzione è un passaggio, tra i primi dell’intervista, sulla «diplomazia segreta». Sarebbero quei canali non formali che secondo Rahr solo la Germania, tra i paesi occidentali, può ancora vantare con i russi. Probabilmente c’è un po’ di enfasi. Ciò non toglie che Berlino è il principale punto di riferimento, in Europa, per Mosca. E che la prima non si tira mai indietro, quando si tratta di costruire dialogo con la seconda. Il rapporto è consolidato da tempo e, cosa non secondaria, i legami economici e commerciali tra i due paesi sono fortissimi.

In tutto questo, Genscher era davvero l’uomo migliore per caricarsi sulle spalle quest’impegno. Per via dell’esperienza accumulata in quasi vent’anni a capo della diplomazia; per via del prestigio dovuto al fatto che, assieme a Helmut Kohl, è stato il protagonista della riunificazione tedesca. A questo proposito Rahr ha suggerito che il lieto fine del caso Khodorkovsky è l’altra pietra miliare della carriera di Genscher, dopo la trattativa che nell’estate del 1989 portò l’Ungheria a lasciare che i tedeschi dell’Est lì in vacanza, qualche migliaia, emigrassero nella Germania occidentale passando dall’Austria. Può sembrare una storia banale, ma fu il colpo di grazie per Erich Honecker e per la Ddr. E il Muro di Berlino venne giù a stretto giro di posta.