La crisi dove meno te l’aspetti: nel ceto medio del lavoro professionale. Avvocati, geometri, giornalisti, architetti e ingegneri, e poi medici e psicologi, tutti lavoratori autonomi iscritti a un ordine professionale che versano i contributi in una delle 19 casse previdenziali private. Il quinto rapporto sulla previdenza privata, presentato ieri a Roma dall’Associazione degli Enti di previdenza privati (Adepp), descrive un lavoro dove crescono drammatiche differenze generazionali tra gli under 40 e gli over 50, geografiche tra Nord e Sud e di genere tra uomini e donne.

L’Adepp attesta l’emersione della nuova questione sociale anche nel lavoro autonomo ordinistico quando parla di «professionisti sempre più poveri». Il loro reddito medio è «crollato», con una perdita in termini reali del 18,35% tra 2007, prima del deflagrare della crisi, e il 2014, anno per cui è disponibile l’ultimo aggiornamento. Tra il 2005 e il 2014 il valore medio reale del reddito è passato da 34 mila e 551 euro l’anno a 28 mila 960 lordi l’anno. Se si considera il reddito per fasce di età, emerge la realtà materiale in cui si trova oggi in Italia chi svolge un’attività professionale.

Come altri settori del lavoro indipendente, anche in quello professionale chi ha tra i 25 e i 30 anni guadagna in media 12.469 euro lordi all’anno. Chi ne ha oltre 50 guadagna 47.524 lordi all’anno. Da queste cifre bisogna sottrarre tasse e contributi. Per i giovani, e meno giovani, si può parlare di lavoro povero. Il rapporto lascia inoltre intendere che la progressione del reddito, come della carriera, non è lineare. Anzi, chi ha la fortuna di iniziare a lavorare relativamente presto può attestarsi su livelli di reddito talmente modesti da non potere onorare i versamenti previdenziali richiesti dalle casse di appartenenza. Le testimonianze e, sempre più spesso, le rivendicazioni che emergono dal mondo del lavoro autonomo – tra gli avvocati, i giornalisti o gli architetti, ad esempio – raccontano questa realtà.

Il presidente dell’Adepp Andrea Camporese, nella sua introduzione al rapporto tenuta davanti al ministro dell’economia Pier Carlo Padoan e al presidente della commissione lavoro del Senato Maurizio Sacconi, ha rilevato «l’impossibilità di esercitare la professione da parte dei giovani» in un paese dove è avvenuta una drastica perdita del reddito a causa della crisi. È avvenuto lo schiacciamento verso l’alto dei redditi e una loro redistribuzione diseguale.

Cresce anche il divario tra i guadagni delle donne e quelli degli uomini. Le prime guadagnano circa la metà: in Campania, Lazio, Liguria hanno incassato tra il 51,6% e il 55% del reddito dichiarato dai maschi. In ogni caso il tetto massimo per le donne si ferma al 70% dei guadagni degli uomini. In questa cornice si affermano gigantesche disparità territoriali. Un professionista in Calabria guadagna fino al 65% in meno rispetto a un collega che lavora in Lombardia.

Questo dato va tuttavia considerato con quello che attesta un aumento degli iscritti agli ordini nel Sud: +2,36% nel 2014, mentre al Nord c’è una flessione del 2,18%. Si diventa «professionisti», anche se si guadagna infinitamente meno. Un comportamento che può spiegarsi solo con la necessità di entrare in un perimetro riconoscibile del lavoro, anche se poi questo lavoro è misero e non è in grado di sostenere le spese per il Welfare di categoria.

In tutte le professioni si assiste anche a un aumento delle iscrizioni agli ordini, in particolare dei giovani e delle donne, cioè dei soggetti più sfavoriti dalle diseguaglianze di reddito e sociali. Nell’ultimo decennio sono aumentati del 20%. Nel 2014 i «liberi professionisti» erano quasi 1,5 milioni. Solo nell’ultimo anno si è registrato un aumento di 50 mila iscritti. L’aumento ha portato a un incremento dei contributi pensionistici del 2,87%.

Tra il 2005 e il 2014, il decennio della crisi, l’aumento è stato del 24,18%, anche se tra il 2012 e il 2014 c’è stata una flessione del 2%. La crescita maggiore è avvenuta nelle professioni tecniche (in particolare ingegneri e architetti), quelle giuridiche hanno registrato un aumento record: poco più del 110% tra il 2005 e il 2013. Stesso discorso per i giornalisti.

Una spiegazione la danno i numeri dell’Adepp: tra il 2005 e il 2014 l’erogazione delle prestazioni è aumentata del 58%, il 5% solo tra il 2013 e il 2014. La spesa per ammortizzatori sociali è aumentata del 251%, quelle per la maternità del 30%, le agevolazioni per i giovani del 50%, il «long term care» per gli anziani del 30%. Lì dove ci sono le risorse, le casse vengono usate per il Welfare che non si trova nel paese.

Il Welfare o la sanità pubblica sono sempre più in crisi, mentre la precarietà non dà tregua ai redditi. Le Casse private sono considerate un rifugio. Ma a che prezzo.

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