All’altro concerto del 1 maggio, a Taranto ci sarà anche lui Diodato, classe 1981 e tarantino d’oc, autore di un eccellente esordio lo scorso anno E forse sono pazzo, rilanciato dopo la sua presenza fra gli otto giovani sul palco dell’Ariston a Sanremo. «Ci vado anche perché tengo molto alla mia città, dopo tutto l’appoggio che mi è stato dato. Una città sotto scacco per il ricatto occupazionale dell’Ilva. Pensare che qualcuno debba morire per lavorare mi sembra impossibile. È una grande vergogna del nostro paese, ha bellissime cose ma uno sfruttamento assurdo che continua impunito e quasi indifferente».

Durante l’evento pugliese – che gli organizzatori tengono a precisare non è un concerto «contro» quello organizzato da Cgil, Cisl e Uil a Roma, Diodato sarà sul palco insieme fra l’altro a Caparezza, Afterhours, Paola Turci, Sud Sound System, e porterà le canzoni del suo primo disco e la catartica Babilonia, fra le poche note liete ascoltate al festival: «È nata – spiega – con la volontà di raccontare uno stato confusionale che ho vissuto personalmente durante un periodo della mia vita, dove fra l’altro dovevo fare scelte importanti. In quel momento una grande passione mi ha aiutato a ’guarire’. Una sensazione vissuta da molti, almeno stando alle reazioni che ho avuto con Babilonia...».

Grazie a Daniele Tortora, il produttore del cd, Diodato è riuscito a mettere ordine nel mare magnum di ispirazioni intriso di rock britannico – la voce che spesso e volentieri vira su un falsetto lancinante ha qualche assonanza con Thom Yorke – musica italiana d’autore ma dalla propensione pop decisamente moderna. Le liriche curiose mescolano sogno e realtà, esaltazioni e incubi: «Non sempre, Ubriaco è quasi una favoletta che parte dall’alcol ma è quasi un travestimento perché dico che sono ’ubriaco di me’. Un brano che tocca un periodo della mia vita, un po’ legato all’autodistruzione. Ma ci tenevo a tenerlo nel disco».

Fra i fan di Diodato, Fabio Fazio che gli ha commissionato un minuto di sigla a Che tempo che fa in cui l’artista reinterpreta una canzone ’simbolo’ – ogni settimana sempre diversa – della nostra musica d’autore…«Certo i miei ascolti giovanili sono stati tutti rivolti verso il rock britannico. Poi all’improvviso ho scoperto i grandi autori della musica italiana ed è stata una folgorazione. Ho capito che le mie radici erano molto più a simili a loro piuttosto che a Verve o Radiohead…».

La dimostrazionte tangibile è la rilettura di Amore che vieni, amore che vai di Fabrizio De Andrè – inserita nell’album d’esordio – capace di ’folgorare’ Daniele Luchetti tanto da inserirla nella colonna sonora di Anni Felici: «Gli ho fatto ascoltare l’album e Daniele mi ha telefonato facendo una disanima, pezzo per pezzo. E qualche mese dopo mi ha chiesto la versione del brano di Faber, perché aveva una relazione profonda con il senso del film. Ero felicissimo anche perché ho studiato cinema, e lavorare con Luchetti mi ha permesso di legare i due grandi amori della mia vita, il cinema e la musica».

Nel corso del nuovo tour partito il 18 aprile a Bari – sarà il 30 aprile a Milano, il 3 maggio a Roma, il 10 a Venezia, il 16 a Torino e il 17 a Bologna, anche una rilettura dal repertorio di Piero Ciampi: «Avevamo una grande tradizione che abbiamo perso nel corso del tempo. Da una parte, mi ci metto anch’io, ci siamo fatti troppo contagiare dall’onda che arrivava dall’estero smarrendo quella unicità che ci ha caratterizzato fra i sessanta e i settanta».