Ho avuto la fortuna di conoscere e di aver per molti decenni continuato a frequentare uno dei grandi, anzi straordinari, protagonisti del secolo trascorso, della storia comunista: Kostas Filinis, morto ieri ad Atene. Una vita trascorsa fra prigione e clandestinità, lungo le travagliate vicende politiche del suo paese, la Grecia. Ogni volta, nei brevi squarci di libertà, pronto a rischiare di nuovo, con la freschezza, l’ottimismo e la lucidità di un ragazzo.

La guerra, nel 1940, aveva colto Kostas mentre era studente del Politecnico di Atene, già allora militante della gioventù comunista greca e alla macchia sotto l’occupazione fascista italiana e tedesca. Nel ’43 membro del Consiglio centrale e poi della presidenza della gioventù antifascista, la gloriosa Epon.

La fine della guerra, come sappiamo, non portò la Grecia alla libertà e alla pace, perché il paese fu immediatamente ricacciato in una sanguinosa e dolorosissima guerra civile che Kostas combatté nuovamente come clandestino per ben 8 anni. Fino al suo arresto nel ’55, condannato all’ergastolo dal tribunale militare.

Di lui io ho sentito parlare per la prima volta proprio negli ultimi anni ’50, in occasione della significativa affermazione elettorale dell’Eda, l’organizzazione legale entro cui operavano i comunisti, il cui partito era sempre illegale. Di lui, come dei tanti compagni che da decenni avevano alternato le durezze di prigione e di clandestinità. È però solo nel 1966, nel breve tempo in cui con il governo del vecchio Papandreu, George, si era ricreata un po’ di fragile democrazia, che l’ho finalmente incontrato: era stato scarcerato. Ma si trattava di una libertà brevissima: dopo poco più di un anno il colpo di stato dei colonnelli, nell’aprile del 1967, lo costringeva a una nuova clandestinità, la terza della sua vita. Non aveva mai pensato a scappare, a trovare finalmente un rifugio. Fu anzi naturale per lui riprendere la lotta e assieme a Tehodorakis dettero vita al Pam, l’organizzazione della resistenza al nuovo fascismo. Dopo pochi mesi, in autunno, il nuovo arresto.

Lo vidi allora ad Atene in Tribunale, da lontano, durante il processo che lo condannò per la seconda volta all’ergastolo. Ma anni e anni di carcere non l’hanno mai fiaccato: ha scritto tantissimo e molti sono i libri poi pubblicati: di politica e di approfondimento teorico.

Fu quando era prigioniero nel campo di concentramento nell’isola di Egyna, nel 1968,che Kostas fu protagonista della scissione del Pc greco, responsabile, per settarismo e dipendenza molto cieca da Mosca, di non pochi errori. Fu nella prigionia uno dei fondatori della nuova formazione (fu membro del suo Ufficio politico), il “Pc dell’interno”, come fu chiamata, per indicare che non si volevano più accettare ordini dall’esterno.

I moti studenteschi che culminarono con la rivolta del Politecnico di Atene, nel 1973, indussero i colonnelli, ormai tentennanti, a liberare un certo numero di prigionieri, ma Kostas non rinunciò neppure allora a resistere, fino alla cacciata del regime militare.

Negli anni più recenti Kostas Filinis ha fatto molte cose: ha partecipato attivamente ai tanti tentativi unitari della sinistra greca, la ”sinistra greca”, poi Synapsismos, ora Syriza.

Ho avuto l’onore di stare con lui nel Parlamento europeo dove era stato eletto negli anni ’80. La sua morte è per me un grande dolore personale e politico. Ho voluto condividerlo con i lettori del manifesto perché la vita di Kostas Filinis fa riflettere su quale sia stata la storia dei comunisti.

A sua figlia Anna Filinis che durante gli anni della dittatura ha vissuto in Italia ed è una compagna di Syriza, un abbraccio da tutti noi.