Un rebus irresolubile assilla i politici italiani di centrosinistra come di centrodestra. Non lo si può conclamare a voce alta, un po’ per scaramanzia, che in fondo non è ancora detta l’ultima, e molto perché, a un soffio dal voto, equivarrebbe a un mezzo suicidio. Ma con la dovuta discrezione i parlamentari ne discutono eccome. Non è solo che l’Italicum rischia forte di dover essere cancellato come se mai fosse esistito. E’ che non c’è legge elettorale che metta al riparo dalla possibile vittoria di Beppe Grillo, dunque non c’è proprio legge elettorale praticabile.

Le leggi ad personam erano già note, in fondo quelle contra personam pure. Qui siamo di fronte a un modello nuovo: una legge elettorale fatta apposta per eliminare un temuto concorrente. Lo ammette candido Riccardo Nencini, che non è il visionario di turno ma un politico navigato, attualmente viceministro delle Infrastrutture: «L’Italicum era stato concepito per mettere fuori gioco Grillo. Se M5S diventa il secondo partito, l’Italicum cade». Non è il primo a cantarsela papale. Lo aveva già fatto Mauro Mauro, ex ministro e pezzo grosso dell’attuale maggioranza, confutando gli ingenui secondo cui la legge di Matteo e Silvio era fatta per debellare i partiti minori: «Ma no! E’ una legge nata per fare fuori Grillo». In una sfida per il cospicuo premio di maggioranza, avevano ragionato i contraenti del patto del Nazareno, un partito impossibilitato a coalizzarsi con chicchessia è destinato a deperire e poi svanire, sia nella corsa del primo turno al 37%, sia, a maggior ragione, ove si rendesse necessario lo spareggio. Poi sono arrivati gli ultimi sondaggi, con i disfattisti, nonché populisti e pure buffoni, certamente piazzati al secondo posto, probabilmente a ridosso del Pd nonostante una campagna stampa da denuncia penale, forse addirittura primi, ed ecco che l’Italicum è diventato una bestemmia che solo a nominarlo c’è chi sventola amuleti. Silvio lo ha già sepolto. Renzi si uniformerà presto, in «profonda sintonia».

Ma fosse tutto qui il problema, ci sarebbe da stare allegri. I ragionamenti che fioccano in questi giorni si spingono ben oltre. Cassata la legge del Nazareno, infatti, non è che ce ne siano altre a disposizione. La legge partorita dal taglia e cuci della Corte costituzionale, il Consultellum, imporrebbe infatti le larghe intese praticamente per decreto, e sin qui passi. Un parlamento così eletto, però, avrebbe di fatto l’obbligo di varare le riforme e poi tornare, massimo in tre anni, al voto. Non è che ci vogliano gli aruspici per indovinare chi si troverebbe in pole position dopo due o tre anni di governo Renzi-Berlusconi-Alfano. Roba che manco gli Addams.

Ci sarebbe il buon vecchio Mattarellum, ma anche lì è peggio che andar di notte, perché quella è una legge che premia chi è stato presente nei collegi, e i grandi partiti, nel famoso «territorio», sono buoni tutt’al più per «Chi li ha visti?». Strada sbarrata.

Che fare, dunque? Prima di tutto, secondo le più dotte e moderne teorie politiche, darci dentro con gli scongiuri e «controgufare» sperando che Renzi porti a casa quei 4 o 5 punti di vantaggio che farebbero passare la paura. In subordine, augurarsi che almeno il Pd arrivi primo: a quel punto blindare la legislatura fino al 2018, pagando a Silvio l’Esoso un congruo prezzo, sarebbe possibile, anzi quasi obbligatorio. E se invece i pentastellati arrivassero primi? Quello sì che sarebbe un guaio incalcolabile. Al quale per ora nessuno, né al Nazareno né a palazzo Grazioli e neppure al Quirinale, ha idea di come ovviare.