Svolgono lavoro di catalogazione, di portineria, perfino di fornitura di materiali agli utenti, come dei veri e propri dipendenti: eppure sono «fantasmi», non riconosciuti degni neanche di una trattativa sindacale. Questa volta non parliamo di un call center in un sottoscala né di un gruppo di braccianti sfruttati, ma di alcuni lavoratori – circa 25 – della Biblioteca nazionale di Roma. Vanno al di là dei voucher, sono addirittura pagati con gli scontrini: loro presentano le ricevute della spesa fatta in un mese, e la biblioteca ricambia con un forfait di circa 400 euro.

La moderna schiavitù del libro è stata denunciata ieri da Federica, catalogatrice «volontaria» della Biblioteca nazionale della Capitale. «Volontaria perché – spiega alla conferenza stampa indetta dalla Cgil per parlare dei referendum sul lavoro – da anni non pare ci sia altro modo di inquadrarci che come iscritti a un’associazione di volontariato. Abbiamo chiesto più volte di incontrare il direttore della Biblioteca, ma appunto in quanto “volontari” ci ha fatto rispondere che non abbiamo diritto a una interlocuzione».

«Siamo fantasmi – riprende Federica – eppure lavoriamo come tutti i dipendenti all’accoglienza degli utenti, alla catalogazione, alla fornitura di materiali e libri ai tavoli». L’intervento choc di Federica entra nel vivo quando passa a spiegare il metodo di retribuzione applicato dalla Biblioteca nazionale, una invenzione straordinaria (in senso negativo), che va al di là degli stessi voucher, perché non prevede neanche i contributi previdenziali: «Raccogliamo gli scontrini della spesa alimentare fatta in un mese, a volte ci vengono dati anche dai dipendenti per solidarietà, quindi li presentiamo alla Biblioteca: a fronte ci viene dato una sorta di “rimborso spese” forfettario, con un tetto massimo di circa 400 euro».

Insomma, giusto il diritto ai pasti: perché almeno l’energia per spostare i libri da qualche parte la devi pur prendere. Ti ammali? Fai un bambino? Saluti e baci, sei un «volontario».

Alla conferenza stampa è intervenuto anche Giancarlo Sofo, operaio in subappalto del Policlinico Gemelli: per ben 21 anni si è occupato della manutenzione di reparti e sale operatorie, ma oggi è disoccupato. Attende 4 mesi di stipendi arretrati: non può pretendere che sia il Policlinico, luogo per cui in effetti lavora, a risarcirlo del dovuto. A farlo dovrebbe essere l’impresa che ha vinto l’appalto, che però, piccolo particolare, al momento gli risponde picche. Se passasse il Sì al referendum Cgil, il Policlinico sarebbe obbligato a sanare il problema.