Nessuno, a quanto pare, vuole il conflitto. Ma in compenso una guerra, in Ucraina e a causa dell’Ucraina, può scoppiare. In un certo senso già si combatte. Il terreno di scontro è l’economia. Anche ieri la borsa di Mosca ha barcollato. A metà giornata gli indici Micex e Rts, l’uno in rubli e l’altro in dollari, erano crollati di 5 punti percentuali. Poi nelle ore successive le perdite si sono contenute: 0,9 e 1,4%. I listini di Mosca vivono una fase turbolenta e benché la congiuntura sia fisiologica, vuoi per il cambio di passo della Fed, che ha iniziato a tagliare gli stimoli all’economia americana (ne hanno risentito tutti i paesi emergenti), vuoi perché l’economia russa sta faticando, è evidente che i fatti d’Ucraina e di Crimea ci stanno mettendo del loro. Se ieri la borsa ha tenuto, il 2 marzo ha visto andare in fumo una marea di soldi, con una battuta d’arresto di più di dieci punti. Sberbank e Vtb, le due più grandi banche russe, ne hanno persi 14 e 17. Meno 14 è stato anche il risultato di Gazprom, colosso russo del gas. È andato al tappeto pure il rublo, che dall’inizio dell’anno ha perso il 10,3% sul dollaro. Questa sarà la settimana più critica per la borsa di Mosca. Gli investitori scaricano azioni: una mossa preventiva in vista delle sanzioni che l’Ue potrebbe varare lunedì, all’indomani del referendum secessionista in Crimea, una tornata elettorale che sembra scontata, nell’esito.
Visti diplomatici, conti e beni all’estero, commercio: questi i piani su cui le sanzioni interverranno. Si parla anche di una lista di 130 esponenti dell’establishment politico-finanziario russo, già pronta, a cui applicare queste misure. Nell’elenco figurerebbero anche i boss di Gazprom e del gigante petrolifero Rosneft, Alexei Miller e Igor Sechin. Ma la fonte è il quotidiano tedesco Bild, non certo un baluardo dell’informazione più attendibile.
Le sanzioni saranno, se approvate, un capitolo centrale di questa guerra economica, della quale Oxford Economics, centro di previsioni collegato alla prestigiosa università britannica, ha calcolato il possibile impatto. Dato che l’export europeo verso la Russia è pari all’1% del Pil comunitario, mentre quello di energia russa verso l’Ue incide al 15% sulla ricchezza complessiva di Mosca, sarebbe quest’ultima a rimetterci maggiormente, con il Pil che potrebbe variare in negativo di dieci punti.
L’Europa, tuttavia, non sarà immune da conseguenze, visto che importa molto del suo fabbisogno energetico dalla Russia. La quota della Germania è del 40%. Berlino ha con Mosca anche fortissime connessioni economico-commerciali. Il varo delle sanzioni – dunque – dipenderà soprattutto dalla postura che assumerà Angela Merkel. Intanto Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca hanno sollecitato Washington a esportare gas verso l’Europa per alleggerire la dipendenza da Mosca. La cosa è fattibile, ma i tempi sono lunghi. Gli Stati Uniti non hanno un terminale per il trasporto del gas naturale liquefatto (la liquefazione è necessaria per rendere sostenibili i costi dei trasporti lunghi). Il sito di Radio Free Europe riferisce che la struttura, potrà essere realizzata non prima del 2015.
Nella partita economica è pronto a entrare anche il Fmi. Fornirà all’Ucraina una somma, si dice, pari a quella già accordatale dall’Ue: 15 miliardi di dollari. Kiev, con la sua economia devastata, è vittima del confronto economico russo-occidentale. Dipende finanziariamente da Ue e Fmi, energeticamente dalla Russia, che ha un’esposizione notevole a Kiev, sia con le banche che con Gazprom. Nel frattempo è stato arrestato a Vienna l’oligarca Dmytro Firtash, su mandato di cattura americano. In odore di mafia, uomo chiave di Yanukovich, fino al 2009 l’intermediario dell’acquisto di gas russo da parte di Kiev. Tymoshenko pose fine al suo monopolio, con una guerra sfrenata. Le costò molto: l’import di gas lievitò e sulla base di questo – un immenso danno alle casse dello stato, per la magistratura – fu condannata.