Le ultime in ordine di tempo, sono le tre leggi per la giustizia e i diritti – tortura, carceri, droghe – depositate quattro mesi fa alla Camera da un cartello di associazioni di settore. Poco prima era arrivata la proposta dai Radicali che, con 15 mila firme in più rispetto alle 50 mila necessarie, chiede la legalizzazione dell’eutanasia. Giace invece in attesa dal 15 marzo 2013 la proposta di 200 mila cittadini che, aderendo all’iniziativa «L’Italia sono anch’io», chiedono di cambiare le norme sulla cittadinanza. Ma, in fondo, l’elenco delle leggi di iniziativa popolare ancora in attesa di essere calendarizzate in Parlamento entro il termine di decadenza di due legislature, non è poi nemmeno così lungo: 27. Perché dal primo governo Berlusconi in poi non solo «l’iniziativa legislativa popolare ha finito per diventate velleitaria» ma anche le «stesse proposte parlamentari sono state marginalizzate» da un progressivo slittamento del potere legislativo, sempre più nelle mani del governo e sempre più demandato alla decretazione d’urgenza (con annessa fiducia), come ha spiegato il professor Giovanni Piccirilli, della Luiss, intervenendo ieri al convegno organizzato dall’Associazione radicale Luca Coscioni dal titolo «Art.71: il popolo esercita l’iniziativa delle leggi. Proposte per un Parlamento che rispetti la Costituzione, il popolo e sé stesso». E così, delle 272 leggi di iniziativa popolare depositate dall’inizio della storia repubblicana, solo 24 sono state poi approvate: quella che istituì i parchi nazionali, per esempio, o il Mattarellum, che metteva in atto il responso referendario del ’93. In nome del popolo ignorato, si potrebbe dire.

Ecco allora che diventa centrale la riforma del Regolamento parlamentare che alla Camera è arrivata ad un primo importante step con il testo messo a punto faticosamente, dopo sei mesi di lavoro, dal comitato ristretto della Giunta per il Regolamento e con una serie di emendamenti già presentati (nel buco nero del Senato invece, come ormai accade sempre più spesso, è finita anche la bozza Quagliariello-Zanda, sepolta dalla scorsa legislatura). Oggi pomeriggio alle 16,30 è previsto un incontro con la presidente dei deputati, Laura Boldrini, «per decidere l’iter che si dovrà adottare» in aprile, quando entrerà nel calendario dei lavori di Montecitorio, come ha raccontato ieri il relatore di una parte del provvedimento, Gianni Melilla. Il deputato di Sel ha trasformato in due emendamenti alcune delle richieste espresse dalle associazioni e dai comitati insieme ai Radicali. Prima tra tutte, l’obbligo di audire i promotori delle leggi di iniziativa popolare e, nel caso che il comitato ristretto bocci l’ammissibilità della proposta di legge, anche l’obbligo di pubblicare le motivazioni scritte e di rinviare comunque all’Aula la decisione finale.

Insomma, più trasparenza e maggiore attenzione alle iniziative normative delle minoranze. Ma proprio su questo ultimo punto nel dibattito di ieri sono emerse posizioni apparentemente inconciliabili, riguardo alla riforma del Regolamento. Da una parte il M5S che denuncia il tentativo di istituzionalizzare la cosiddetta «ghigliottina», di limitare il dibattito in Aula e il numero di emendamenti e degli odg presentabili da ciascun gruppo parlamentare, «con il rischio – ha spiegato il deputato grillino Danilo Toninelli – che le opposizioni siano costrette per farsi ascoltare ad adottare comportamenti non regolamentari». Dall’altra parte Scelta civica, per esempio, che invece vorrebbe contenere «l’ipergarantismo nei confronti dell’ostruzionismo delle opposizioni», come ha raccontato ieri l’onorevole Mario Catania. C’è poi il nodo delle 50 mila firme necessarie ad esercitare l’iniziativa popolare, come stabilito dall’articolo 71 della Costituzione: un numero tutto sommato esiguo che, spiega il professor Piccirilli, non permette di distinguere le proposte «deboli» da «altre supportate da maggior consenso popolare».

In attesa della riforma del Regolamento, però, l’Associazione Luca Coscioni fa appello ai parlamentari affinché deliberino «con la massima urgenza un programma di lavori straordinario per mettere in discussione entro il 2014 le leggi popolari giacenti». Attenzione, però, fa notare Piccirilli, referendum e iniziativa legislativa popolare «non sono strumenti di democrazia diretta ma istituti inseriti nel sistema della democrazia rappresentativa». Quel sistema oggi distorto dall’uso smodato dei decreti legge governativi con la complicità dallo stesso Parlamento, come hanno sottolineato la Consulta, bocciando la legge Fini-Giovanardi, e il presidente Napolitano rinviando al mittente il primo decreto «Salva-Roma». Non c’è da stupirsi dunque se ormai, come fa notare la segretaria dei Radicali italiani Rita Bernardini ricordando per esempio la legge 40 sulla fecondazione artificiale, anche la magistratura esercita di fatto una funzione legislativa assumendo «un potere forse eccessivo». Non è colpa del controllore, però, se a volte gli addetti ai lavori perdono la bussola del dettato costituzionale. E dimenticano il significato di sovranità popolare.