A venticinque anni dalla morte, la scrittura di Thomas Bernhard resta centrale e solidissima non solo nei libri, ma anche sul palcoscenico, a cui l’autore austriaco dedicò tanta parte delle sue energie e del suo humour micidiale. E sono ancora inimitabili i suoi furori e la sua crudeltà verso la cultura e la politica di tutta l’area di lingua tedesca, di cui smaschera la consistente e persistente eredità nazista. Riti e miti di quelle borghesie divengono nelle sue parole gran balli macabri, che nascondono il vuoto e il conformismo che dappertutto alligna.
Sul teatro poi, cui lo lega la consuetudine e un contrastato amore, Bernhard distilla veleni tanto forti da risultare perfino «affettuosi», rispetto a un mondo che è di per sé messinscena e travestimento, e quindi metafora aurea di una società e di tutto un mondo.
Un attore tanto umorale quanto importante del nostro teatro come Franco Branciaroli, mette insieme le forze del teatro pubblico di cui è responsabile artistico (quello di Brescia) e della sua compagnia (gli Incamminati) per regalare al pubblico il delirio irresistibile de Il teatrante (al Quirino ancora stasera e domani) per un excursus nella grandezza e nelle miserie di un grande attore, della sua idea di teatro, della sua apparente «ragionevolezza» in un universo che nel suo teatro si specchia, e che forse si merita, benché disorientato.
Il grand’attore, dal nome italiano e dall’illimitato repertorio, giunge con la sua compagnia strettamente familiare (la moglie, il figlio, la figlia) alla locanda sprofondata nella campagna austriaca, intrisa di odori e polvere, con una sterminata serie di quadri e quadretti alle pareti, in mezzo ai quali (tocco espressionista tra tanto accurato realismo) eccelle una teoria di maiali appesi a mezz’aria.
Nella ricca scena disegnata da Margherita Palli, diventano visibili i fantasmi orrifici che Bernhard aborriva, così come nelle parole dell’attore Branciaroli (la commedia è in pratica un lungo, articolato e ricorrente monologo) suonano illusioni e grandeur di chi del teatro si è fatto (per amore o per necessità) una corazza. Ovvero una divisa di difesa e combattimento rispetto a tutto l’orrore che lo circonda, e che lui stesso sublima nella tronfia superiorità che emana, pronta ad andare in crisi se gli viene a mancare l’acqua minerale di una certa marca. E in parti semimute, si difendono bene gli attori della compagnia, da Daniele Griggio a Tommaso Cardarelli, da Melania Giglio a Valentina Violo.
È uno spettacolo assai divertente questo Teatrante, perché Branciaroli se lo cuce addosso con la stessa cura con cui il personaggio di Bernhard si attaglia i suoi spolverini e i suoi cappelli in tinta. E per noi ascoltare quelle parole, quelle osservazioni e quella prospettiva del «teatro come vita», ci rimanda con qualche sorriso (e qualche brivido) alla D’Origlia-Palmi e ai mattatori d’ogni genere, da Gassman a Carmelo Bene (con i quali Branciaroli si è già misurato). Ma anche a Strehler, campione assoluto di grandeur, e poi scendendo ad altri mattatorini d’accatto, pieni di sé quanto vuoti di materia cerebrale, di cui la scena politica non ci fa mai sentire la mancanza.