I versi che Velio Abati propone nella raccolta Questa notte (Manni, pp. 80, euro 12) porta non a caso il sottotitolo impegnativo di «Canzoniere», e sembra così suggerire che a tentare la costruzione di senso e forma del presente buio, nella voragine affluente, tocca ancora ai poeti.
Per farlo Velio Abati sembra stavolta abbandonarsi ben oltre la ragione e la memoria, per cogliere l’istante pieno di luce. Spiando in allarme l’incedere del giorno dalle finestre appena socchiuse. E da lì partire con una lunga interrogazione in versi. Con una novità: che Abati situa le domande dentro la natura che sta intorno testimone, con la «biondità del grano», della presenza umana. Dai colli dell’Uccellina al profumo di gelsomino di quelli di Algeri, inseguendo «il taglio che unisce/ l’oggetto e la finzione/ il concetto/ che non s’impronta ma copiando inventa».

COSÌ NELLA POESIA Legàmi, prorompono le domande inevase sulla distanza tra mondi separati, ma globalizzati e dipendenti: «Maligno/ ci si accalora/ è il seme dell’uomo./ Ma che cosa/ mi chiedo/ unisce la curva/ di lapis sul foglio/ alla mano malese/ che tesse/ in un millimetro quadrato il silicio?»; per concludere: «Qual è/ mi chiedo/ il sottile legame che stringe/ la parola che convince/ a quella che vince?».
Il dipanarsi dei punti interrogativi è una trama di pericoli che restano minacciosi e al buio, con una sola certezza, come nella conclusione della poesia Interno: che è di questa notte generale che atterrisce e dalla quale non è possibile volgere lo sguardo di fuga altrove, che bisogna parlare: «Ma ho paura di questa notte/ di questo budello cieco/ del ticchettio dell’orologio/ degli oggetti sparsi/ degli scuri chiusi./ Dei nomi che hanno perso la cosa».

TANTO CHE VIENE da rimproverare ogni «imperdonabile» rinuncia al canto con una invettiva perfino contro Majakovskij ricondotto ad una frequentazione quasi familiare: «Smettetela Vladimir, siete impazzito?/ O forse scopriste che l’inchiostro non basta/ a dissetare la classe?/ (…)/ O credeste che questa specie animale/ quasi/ immortale/ non meritasse più le saettanti/ vostre parole?».

È IN UNA «PLURALITÀ di movenze ritmiche» – c’è il verso libero l’endecasillabo, fino alla ballata e la tentata ottava rima, il distico, l’epigramma e il poemetto, come per i versi della Campagna elettorale quasi ad evocare La matita copiativa di Massimo Ferretti – che si propone dentro l’albeggiare incerto dei giorni, dentro «l’ora che brontola» e la convivialità di cerimonie e saluti che si muove questa poesia d’occasione che, stavolta dal generale al particolare infinitesimo, interroga con l’ossessione del punto interrogativo il mondo. Dando voce alla natura altrimenti nascosta e massacrata. Dove «solo quest’urlo continuo del daino/ al culmine di una estate sempre ritornante».
Ma è la stagione privata che irrompe, aprendo stanze finora irraggiungibili, come quelle del figlio al quale dedica uno sferzante e amoroso calendario di mesi – quasi un lascito testamentario essenziale per le semine a venire – dove ottobre è «La foglia/ che perde/ tutto il verde/ sonno invoglia» e gennaio diventa «La brezza/ che spezza/ pur la scorza/ la rinforza».

L’INTENZIONE, riuscita, della raccolta Questa notte è annunciare il valore dell’attesa, che l’autore chiama «il sostegno della veglia». Perché la terra non può restare solamente desolata. Pur consapevoli che «(…) le carte rimangono bianche./ Forse il sole verrà in un giorno solo/ tra gli acidi che chiamano effetto serra/ guarderemo i germogli fiorire».
Quanto agli umani: «Non è ancora, fratello, il tempo dell’abbraccio/ se mio è il porto dei tuoi affogati se/ la voce stessa ora ti è straniera». Tocca al verso – «sterco» da riciclare – riconnettere nel profondo, coscienti per chi prende la parola che l’ascolto è negato: «Ora so che nessuno/ busserà alla porta/ ma non mi rassegno».

IN MACERIE LA RAGIONE, prende valore la tessitura del canto, che non si risparmia nel sondare il tumulto presente: «Il sonno non è più completo. Forse/ una voce, un grido, una corsa./ Abbi, ripeto, la forza dell’attesa. Senti,/ la luce presto squarcerà la piazza». Tocca ai poeti dunque consistere. Ed ecco la descrizione di chi sono i poeti, quasi a conclusione di tutte le domande rivolte al tempo: «Fino dove arriva lo sguardo/ dalle cose nessun’eco si leva./ È notte alta./ Severi, tenerissimi impugnano/ incerti/ la penna».