Senza girarci troppo intorno: la stragrande maggioranza dei russi approva l’operato di Putin in Ucraina. Ha visto con favore l’annessione della Crimea e percepisce le aree orientali dell’ex repubblica sovietica, come una costola della stessa Russia. Queste impressioni trovano conferma nei numeri.

Il Levada Centre di Mosca, istituto sociologico che scodella sondaggi con discreta costanza e che non ha la fama di uno strumento di regime, ha da poco diffuso un sunto delle rilevazioni effettuate nel corso degli ultimi mesi su come i russi inquadrano la vertenza ucraina. Una, condotta a marzo, ha evidenziato che il 57% degli intervistati ha «assolutamente» sostenuto l’adesione della Crimea alla Federazione russa, mentre il 31% l’ha «sostanzialmente» appoggiata.

Quanto all’est dell’Ucraina, il 67% ha sostenuto l’allargamento della Russia a queste distretti, giustificando l’eventuale uso della forza. Solo il 19% si è espresso contro l’espansione territoriale. Molti, tuttavia, hanno manifestato riserve sul contributo economico che i russi dovrebbero fornire. In compenso il tasso di consenso di Putin è schizzato verso l’alto. A metà marzo il Centro ricerche sull’opinione pubblica (Vciom) lo ha dato al 71,6%: il dato più significativo degli ultimi tre anni.

Ci si chiede quali siano i fattori che guidano l’approccio dei russi all’Ucraina. Uno, senza dubbi, è la campagna mediatica orchestrata dal Cremlino. In tempi recenti le autorità hanno promosso un giro di vite e dato impulso a una serie di nuove nomine, allineando più strettamente le direzioni delle principali testate pubbliche – ma anche le private sono state travolte da questo processo – al verbo del potere. Il Levada Centre riscontrava che il 67% delle persone intervistate ha dato la colpa delle turbolenze emerse in Crimea ai nazionalisti radicali ucraini.
Ma la propaganda, intensa, non basta. Ci sono altre faccende di cui tenere conto, che affondano le radici nella cultura politica del paese, più o meno recente.

Sul sito di Al Jazeera, Elena Minina, una ricercatrice dell’università di Helsinki con dottorato conseguito a Oxford, ha spiegato che a partire dal diciannovesimo secolo nella cultura russa s’è radicata l’idea che russi e ucraini siano due popoli inseparabili. Questo concetto, sopravvissuto anche durante la stagione marxista-leninista, trae linfa dal fatto che Kiev è stata, secoli fa, la culla della civilizzazione russa. Lì nacque il primo stato russo della storia, la Rus’.

Lì i russi si sono convertiti al cristianesimo orientale. La questione della fratellanza russo-ucraina è diffusa nella mentalità russa (non così in quella ucraina dove l’identità nazionale post-sovietica s’è in larga parte sviluppata seguendo un percorso opposto) e riconoscere a Kiev il diritto alla scelta del proprio destino politico, significherebbe smontare la cultura politica di Mosca. Altro elemento che spinge i russi ad appoggiare Putin è la visione che hanno dell’occidente e del suo attore principale: gli Usa. Mosca è uscita a pezzi dal crollo dell’Urss. Gli anni ’90 sono stati economicamente disastrosi.

La Russia era un paese incapace di giocare un ruolo sulla scena internazionale. Negli anni ’90 il paese fu esposto ai paradigmi liberali, smarrendo il senso della sua identità. La restaurazione putiniana s’è fondata sull’accentramento dei poteri, sul ruolo forte dello Stato e sull’idea che la Russia non deve né vuole assorbire culture politiche altre rispetto alla propria. Ne è conseguita una spinta alla critica dell’occidente e degli Usa, vista come potenza viziata dalla volontà di interferire nelle vicende altrui. La crisi ucraina ha ridato slancio a tutto questo. Le mosse di Putin sulla Crimea e sull’est vengono interpretate anche come una forma di difesa dall’ultra-protagonismo americano. Dunque riscuotono seguito.