Ho ascoltato più volte l’album Distopia del gruppo romano NOT Noise of Trouble (Marco Colonna, sax soprano, tenore e baritono; Luca Corrado, basso elettrico; Cristian Lombardi, batteria) e sono rimasto molto turbato: sia i brani che gli inserti parlati colpiscono nel profondo rispetto alla memoria dei giorni terribili di Genova 2001, vicende intorno alle quali gravita l’intero progetto. È difficile ascoltare le tracce senza esserne completamente assorbiti e la musica esprime una violenza ed un dolore che fanno ripensare con immediatezza a quel luglio così vicino e così lontano. Da qui l’idea di dialogare con Marco Colonna per riflettere, insieme a lui, in musica su quel G8 di sangue.


«Parlare di Distopia – sottolinea il sassofonista della band – induce a una riflessione. La morte di Carlo Giuliani ha segnato le nostre vite, è stato per forza uno spartiacque fra un prima e un dopo. . Nelle fasi di preparazione, ho incontrato e parlato con numerose persone che di quelle terribili giornate avevano ricordi violenti, ma al tempo stesso umanissimi. L’umana percezione del dolore, del rancore, dell’umiliazione, ma anche l’ebbrezza di condividere la piazza, la paura… Molti di loro sono ancora in analisi nel tentativo di superare quei giorni. Molti ancora non capiscono e non credono possa essere successo….»

Distopia – prosegue il musicista – vuole essere un abbraccio a loro, a chi a Genova è sopravvissuto. A chi deve far ordine per ricominciare a lottare. Provando a costruire il mondo che eravamo pronti a cambiare dodici anni fa».

L’album (edito dal consorzio ZdB, brigadisco) inizia con una breve, commovente lirica che parla di Carlo Giuliani («Va’ fantasma di ragazzo») seguita dalla violenza sonora di Testa fracassata, un riff di baritono e basso che martella e angoscia. E poi parte Distopia # 3, timbrico e sperimentale.
«Ci sembrava giusto chiedere e confrontarci con due figure molto distanti fra loro. Simone Cristicchi che con la canzone Genova brucia è stato l’unico artista con una certa visibilità a volersi sporcare le mani con la faccenda, subendo anche minacce personali per questo. Si è dimostrato incredibile e disponibile… È sua la scelta di leggere un brano del libro di Simona Orlando. Quando lo abbiamo sentito per la prima volta, abbiamo pianto. Ed è salita la rabbia… La rabbia perché troviamo ingiusto tutto quello che ha riguardato Genova. La rabbia perché quelle parole segnano il nostro Paese, in maniera indelebile. Non si poteva parlare di democrazia e non si può parlare di democrazia in uno stato che utilizza la tortura, la vessazione, le percosse, l’umiliazione per annientare una proposta alternativa… E non ci sono state dimissioni, risarcimenti morali e economici, anzi addirittura la beffa giudiziaria…»

L’intervento di Cristicchi giunge quasi alla fine dell’album in un crescendo emotivamente forte: Diaz, con il fiato continuo del soprano, è squassante; Tortura esprime fisicamente il terrore; Bolzaneto si snoda ossessivo e violento e – dopo la lettura di Cristicchi di un lungo, agghiacciante passo tratto da Carlo Giuliani. Anche se voi vi credete assolti di Simona Orlando (Aliberti editore) – la raccolta si chiude con l’incalzante e urlante Assassini.

«Cercare il confronto con Giovanna Marini, è stato doveroso. Volevo che nel disco parlasse una donna. Perché negli ultimi tempi il degrado di una certa comunicazione di massa, ha portato a ’declinazioni’ quantomai arroganti e offensive del genere femminile ed era giusto far parlare una figura di quel livello. E intervistandola abbiamo capito che era fondamentale continuare ad ascoltare i punti di vista delle generazioni precedenti la nostra. Ha spiegato con chiarezza quello che per noi era fumoso, e ha creato anche i presupposti per uno scontro dialettico fra le sue parole e la musica del disco…». Gli otto minuti e cinquanta secondi dell’intervista alla Marini sono, infatti, punteggiati dalla musica dei NOT mentre risuonano frasi e concetti: «un lunghissimo periodo di dittatura nascosta», «i soldi hanno ammazzato il pensiero», «sbaraccamento dell’ideologia», «la nostra speranza sono gli Africani come quelli al Volturno che lottano contro la mafia senza un’arma in mano», «sembriamo tutti coperti di lava».

«Per noi – prosegue Marco Colonna – il disco e la musica sono come una forma di reazione. Vera sentita e viscerale. Non ci sentiamo coperti di lava, anzi… Ci sentiamo pronti a reagire. Riguardo alla musica, il jazz è la mia casa. È il mio modo di interpretare ciò che vedo, il mio linguaggio insomma. Ma pensando al 2001 è venuto spontaneo ricordare le immagini con quanto ascoltavamo in quel periodo: Rage Against The Machine, Public Enemy, le posse italiane, ma anche John Coltrane e Albert Ayler. Per il disco abbiamo cercato di mettere in relazione queste identità, e abbiamo scoperto che non erano così distanti. Grazie al suono elaborato insieme ad Andrea Pettinelli e al Consorzio Zdb, siamo riusciti a creare il muro di suono che occorreva per amalgamarlo con i contenuti del disco. Musicalmente ci hanno etichettato da subito come band jazzcore, ma io non credo affatto nelle etichette. Per un progetto come Distopia era necessario evocare la violenza, subita e perpetrata da scellerati che hanno sulla coscienza la morte di Carlo (Giuliani). E molto, troppo altro… Le peripezie che hanno fatto slittare l’uscita del cd di quasi un anno e mezzo ve le risparmio… Ma alla fine grazie alla volontà di Brigadisco ed alla produzione di Cristian Lombardi (batterista dei NOT) siamo riusciti a tenere in mano un progetto a cui tenevamo tantissimo».

Si può non credere alle etichette ma il trentacinquenne musicista romano (insieme a Luca Corrado e Cristian Lombardi) attraverso sonorità e stili racconta la sua storia. Quella di un artista che si è confrontato con musica classica e contemporanea, jazz, libera improvvisazione, folk, pop e rock; che gira il mondo con gli Acquaragia Drom ma suona con Frank Gratkowski, Ivano Nardi e Andrew Cyrille mentre i compositori Giorgio Colombo e Dan Di Maggio gli dedicano dei brani. Con Not ha già messo in cantiere il visionario progetto Bloody route: from the country where women are older than God.

«Ho avuto la possibilità di scambiare parole e lettere con la madre di Carlo Giuliani, e alla manifestazione per il decennale eravamo sul palco a Genova ad aprire il concerto…». I brani Alimonda, Placanica e Legittima difesa (espressionisti, con tratti ayleriani, il primo, ed etnici il terzo) raccontano nell’album le drammatiche circostanze di quella morte ’che ha segnato le nostre vite’. «Anche se il disco ha avuto recensioni ottime, sta avendo difficoltà a trovare spazi in cui poter essere presentato. Il problema è la perdita di memoria storica, e la difficoltà di coinvolgere il pubblico sul tema. Dobbiamo ripartire da lì per uscire dalla distopia in cui ci troviamo… In questo modo è possibile formare un pubblico capace di trovare nella musica motivo di aggregazione intorno a tematiche importanti. Senza avere paura di affrontare le difficoltà del quotidiano. Sono sicuro che non è certo questo il migliore del mondi possibili». Suona piena di forza, in effetti, l’Ode agli insofferenti collocata esattamente al centro di Distopia, disco dedicato, tra l’altro, «a chi non si è stancato di lottare, ai No Tav, ai gruppi teatrali, musicali, agli spazi che continuano a far crescere fiori in questo deserto».