Gli anni ’90 sono stati un momento di enorme creatività per la musica, nel mondo, ma anche in Italia. In quegli anni, quello che per molto tempo era stato l’underground conquistò con prepotenza il centro della scena e divenne mainstream. Sembrava che tutto fosse possibile, anche che un gruppo di ragazzi di Modena con gusti musicali simili e la passione per l’Irlanda cominciasse a suonare insieme e diventasse non una band, ma una specie di collettivo, che per anni ha cambiato faccia e membri, ma che è sempre rimasto una voce chiara dalla parte degli oppressi e dei più deboli. Nel marzo 1994 esce per la Helter Skelter (e sarà ristampato pochi mesi dopo dalla Polygram) Riportando tutto a casa, primo album dei Modena City Ramblers, che rappresenta un caso quasi unico nella musica italiana.

È UN ALBUM che mette insieme tante influenze e intuizioni, musicali e non solo: fin dal titolo e dalla copertina – che citano esplicitamente Bob Dylan – si capisce ci si trova di fronte a un album con tante cose da dire. I Modena City Ramblers suonano una musica «meticcia» – che loro stessi avevano definito «patchanka celtica» – in cui le tradizioni italiane si mischiano con quelle irlandesi, ma non solo: certo, ci sono i Dubliners e i Chieftains, i Boomtown Rats, ma anche i Mano Negra e Les Negresses Vertes. E soprattutto ci sono i Pogues, un’influenza fondamentale per i Ramblers. Ma c’è anche l’Italia, per i temi e per le canzoni di protesta, come Contessa di Paolo Pietrangeli (anche in questo caso ibridata con la tradizione irlandese), come l’originale Quarant’anni, come il testo di Ahmed l’ambulante, tratto da una poesia di Stefano Benni, e come la loro versione di Bella Ciao, che si è guadagnata sul campo i galloni di versione semi-ufficiale del canto di Resistenza.

QUELLO che colpisce di Riportando tutto a casa è che si tratta di fatto di un album realizzato da un gruppo di musicisti che all’epoca erano dei semiprofessionisti.
È proprio con la pubblicazione dell’album che quasi tutti i Ramblers decidono che la musica sarà il loro mestiere, e proprio per questo alcuni dei membri originari, come Alberto Morselli, una delle voci della band, decideranno di abbandonare il gruppo. Oggi, a trent’anni dalla sua uscita, si può dire che questo album ha segnato l’inizio della carriera di una delle principali band di musica militante della storia della musica italiana.

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