Sono molti, e da diversi punti di vista, a interrogarsi su cosa gli anatemi e le espulsioni che hanno colpito, e presumibilmente continueranno a colpire, gli eletti del Movimento 5 stelle ci dicano circa la natura di questa formazione politica e di coloro che, non solo occasionalmente, vi si riconoscono. Un bacino la cui instabile estensione è oggi praticamente impossibile da indovinare. I paragoni storici non si contano. Chi tira in ballo il fascismo, chi le purghe staliniane degli anni ’30, chi la santa inquisizione, alla ricerca di suggestioni tanto forti quanto improprie e sconclusionate. Manca solo il richiamo al maccartismo che, a dire il vero, sarebbe poi il fenomeno che più si avvicinerebbe alla persecuzione di ogni dissidenza, anche la più prudente, in quanto immediata collusione con il nemico, pretendendo, al tempo stesso, di conservarsi non solo nell’alveo della democrazia, ma nelle prime file della sua difesa. È proprio quest’ultima pretesa a rappresentare la somiglianza più marcata tra i fedeli di Grillo e la «Commissione sulle attività antiamericane».

E, tuttavia, nonostante i molti aspetti formali comuni, siamo lontani anni luce dalla paranoia anticomunista degli anni ’50 negli Stati uniti, molto ben definita nei suoi tratti e nel suo bersaglio.

Lasciando dunque da parte i paragoni storici, converrà prendere in esame un altro punto di vista, decisamente più argomentato (vedi Massimo Villone sul manifesto del 20 giugno), quello che intende misurare e valutare i principi e le pratiche (in primo luogo l’autorità indiscussa riconosciuta alle consultazioni in rete) del Movimento 5 stelle con quell’insieme di procedure formali, regole, garanzie e trasparenze cui i partiti politici dovrebbero attenersi, per adottare quel “metodo democratico” cui fa riferimento l’articolo 49 della nostra Costituzione. La prima obiezione, la più ovvia, è che una lettura della storia dei partiti politici italiani in questa luce, sarebbe comunque fittamente infestata di ombre, per non dire peggio. La seconda, più sostanziale, è che l’ascesa del Movimento 5 stelle, la sua retorica e le sue ossessioni puriste nascono sullo sfondo di una crisi verticale e profonda della democrazia rappresentativa che, nella sua misura ancora più vasta, ha preso la via di una astensione senza precedenti, ma che troppi continuano a voler considerare un incidente di percorso, corregibile con qualche modesta riforma. Detto in altre parole la maggioranza dei cittadini sembra ritenere che i partiti politici non c’entrino un accidente con la democrazia e qualcuno, speriamo pochi, che la democrazia non c’entri per nulla con il benessere e lo sviluppo. Il paradosso è che il Movimento di Grillo, un partito che più partito non si può, regolamentato come è fin nei minimi dettagli, pur cresciuto nella crisi della rappresentanza e grazie ad essa, è quello che più di ogni altro è convinto che la rappresentanza debba e possa essere ripristinata, rendendola però digeribile tramite un controllo plebiscitario esercitato attraverso la rete. Il risultato è una forma della politica (non dell’antipolitica) che non è né democrazia rappresentativa, né democrazia diretta, né movimento sociale. E che, nel non essere nessuna di queste tre cose, necessita di una guida che ne certifichi l’identità, ne sintetizzi gli umori e ne garantisca la purezza. In una condizione in cui la retorica è sovente chiamata a sostituire l’azione.

La passione triste che il Movimento di Grillo ha efficacemente mobilitato fin dai suoi esordi è il risentimento. La vita offesa che si affida a un alfiere della propria riscossa e a una rappresentanza del proprio scontento. Ma il risentimento è soprattutto una forte propensione a punire. Il che spiega perché il M5S abbia tanto in odio le misure di indulto, di amnistia o di depenalizzazione e rappresenti quanto di più lontano si possa immaginare da un atteggiamento e da un punto di vista garantisti, come le sue stesse vicende interne testimoniano con i loro imbarazzanti rituali punitivi. Ma il risentimento è anche il lato oscuro, la deriva impotente e incarognita del lavoro precario, degli esclusi da ogni garanzia e prospettiva, di quel lavoro autonomo senza rete e senza profitto che, cresciuti a dismisura, si scontrano con condizioni di esistenza che la crisi ha reso ancora più intollerabili. Questi soggetti si sono in buon numero aggregati e riconosciuti nei meet-up del M5S. Ma questo riconoscimento non ha rappresentato la ricomposizione tra soggettività attive in un programma di lotte condiviso, prendendo invece la strada della delega e della sua feroce revoca al minimo discostarsi da una ortodossia che sempre più si incarica di sostituire la realtà. E’ precisamente questa deriva, messa a nudo dalla crisi dei 5stelle, che l’intelligenza politica dei movimenti dovrebbero cominciare a contrastare.