Poker o risiko che sia, in Ucraina si continua ancora a giocare. Si bluffa, si rilancia, si passa la mano. E così via.

Ieri i Berkut, le forze speciali del ministero dell’Interno, hanno cercato sia di sgomberare piazza dell’Indipendenza, sia di assumere il controllo del municipio di Kiev, occupato da giorni, assieme alla sede dei sindacati, dai dimostranti. In piazza c’è stata qualche colluttazione, poi gli agenti si sono ritirati. Stesse scene davanti al comune. I Berkut hanno dato l’impressione di volerselo prendere, salvo poi rinculare, respinti dalla muraglia umana schieratasi davanti al palazzo e dal lancio di acqua gelida scagliato su di loro dalla gente acquartierata nell’edificio.

È possibile che il governo, che ha detto che non intende usare la forza, voglia fiaccare con quella che i media anglosassoni hanno definito una charme offensive la resistenza degli oppositori, sperando che anche il freddo faccia la sua parte. La temperatura è infatti scesa a più di dieci gradi sotto zero e starsene lì in piazza diventa difficile. Malgrado questo l’opposizione non intende smobilitare e nei prossimi giorni punta a organizzare un’altra grande adunata. Parola d’ordine: cacciare Yanukovich.

Intanto sono state rilasciate dieci persone arrestate in seguito agli scontri con la polizia del primo dicembre. Misura attesa, che però non dovrebbe sortire effetti palliativi sul corso della protesta.

Scenario convulso e zigzagante anche sul fronte dei negoziati. Ieri la responsabile della politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, al suo secondo giorno di visita a Kiev, ha nuovamente conferito con le autorità, che da parte loro hanno chiesto venti miliardi di euro in cambio della firma degli Accordi di associazioni e delle misure sul libero scambio, che Yanukovich, il 21 novembre, aveva bocciato, facendo esplodere la rivolta popolare. Ci sarebbe la possibilità che una delegazione ucraina, guidata dal primo ministro Mykola Azarov, si rechi oggi a Bruxelles a discutere della cosa. Ma il portale EuObserver, citando fonti comunitarie, ha riportato che Azarov non dovrebbe intraprendere il viaggio e che la Commissione è dell’idea che il futuro dell’Ucraina non può ridursi a una gara tra chi offre di più.

Peccato sia proprio questa la piega che le recenti vicende hanno preso. L’Ucraina è alle prese con una rognosa crisi finanziaria, che la sta trascinando verso il baratro. Yanukovich deve trovare molto presto dei soldi, che diano un po’ di linfa al paese e a lui stesso, dato che all’inizio del 2015 si terranno le elezioni presidenziali.

Conti alla mano, il capo di stato – che ha ottenuto da poco crediti da Pechino – sembra essersi deciso a prediligere le offerte di Mosca: cash e gas. Sono immediate. Quelle europee invece comportano vantaggi nel lungo termine ma impongono nel breve riforme costose, che potrebbero intaccare l’ossatura dell’industria e quindi – punto non secondario – gli interessi dei potenti oligarchi. Scelte costose, socialmente e politicamente, le prevedeva anche il pacchetto di aiuti del Fmi. Infatti è stato respinto.

L’impressione, continuando in ogni caso a non scartare l’ipotesi di sorprese last minute, è che Yanukovich, alzando la posta con gli europei, abbia voluto dialogare indirettamente con Mosca, pretendendo aiuti massicci, senza però aderire, quanto meno non adesso, all’unione doganale che Mosca sta promuovendo nell’ex Urss, pilastro della nascente Unione eurasiatica, il grande sogno strategico di Putin.

Se è questo lo scenario che sta davvero prendendo forma, ci si può chiedere se al presidente russo convenga tenersi un’Ucraina così sfilacciata. Da una parte viene da dire di no. Pompare ossigeno nelle arterie ucraine rischia di essere molto, troppo costoso. Dall’altra, una Kiev precaria potrebbe essere domata facilmente e aderire all’Unione eurasiatica in posizione subalterna.

Un’altra questione è capire i motivi dell’ossessione russa per l’Ucraina. Qui va ribaltata una credenza, affermatasi negli ultimi anni, secondo cui la Russia non ha più prismi ideologici e bada solo, pragmaticamente e aritmeticamente, a coltivare i suoi interessi. In parte è vero, ma l’Ucraina, oltre a costituire un cuscinetto strategico, ha una dimensione anche sentimentale. Lì è sorto il primo stato russo della storia, la Rus’ di Kiev. Fatto, questo, che nella mente dei russi ha un suo indubitabile peso e si lega a doppio filo alla gelosa custodia dell’alterità politica, storica e culturale che Mosca vanta, non senza orgoglio, rispetto all’occidente. Se Kiev virasse verso l’area euro-atlantica, assorbendone i paradigmi, sarebbe una catastrofe.