La Maker Faire Europea 2015 non è ancora iniziata, ma il successo di pubblico anche quest’anno pare garantito, meteo permettendo. Stavolta «il più importante spettacolo dell’innovazione» (secondo il sito della manifestazione) si svolgerà all’Università La Sapienza di Roma da oggi al 18 ottobre. Ma se chiedete ai novantamila visitatori che l’anno scorso affollarono l’Auditorium romano, in molti faranno fatica a dire quale sia esattamente l’oggetto della fiera. Un po’ fa parte del gioco perché è una fiera di inventori, e alle cose che prima non esistevano si fa fatica a dare un nome. Ma quest’anno la fiera stessa sembra alla ricerca di un’identità.

In primo luogo, la Maker Faire è la festa dei «makers», gli appassionati del fai-da-te capaci di inventare e realizzare prodotti tecnologici avanzati, che tre giorni all’anno si incontrano per condividere idee e progetti. Dato il successo, però, la Maker Faire si è trasformata anche in una vetrina per aziende che con il bricolage hanno poco a che fare. D’altronde, la presenza alla Maker Faire «consente al proprio brand di essere percepito come nuovo, diverso, fresco, originale», recita l’invito degli organizzatori. Tra gli sponsor della fiera quest’anno compaiono colossi come Google, Eni, Sanofi, Citroen, Cisco e IBM, oltre a Microsoft, Intel, Unidata già presenti nelle scorse edizioni.

La doppia natura della Maker Faire sembra rispecchiare gli identikit dei due curatori, Massimo Banzi e Riccardo Luna. Il primo è un vero maker. Ha inventato un processore low-cost chiamato Arduino, grazie al quale molte invenzioni hanno potuto vedere la luce nei garage di tutto il mondo. Arduino infatti è un piccolo computer open hardware, quindi può essere copiato, adattato, modificato a piacimento. Arduino è talmente accessibile a tutti che proprio un ex-socio di Banzi ha cercato di appropriarsi del marchio, provocando una battaglia legale sanguinosa. L’Arduino ufficiale dei makers, quello di Banzi, che però è di tutti (è un mondo complicato), ha dovuto cambiare nome e ora si chiama «Genuino» – buono a sapersi per evitare gaffe alla Maker Faire. L’altro, Luna, è l’ex-direttore di Wired Italia e de Il romanista. Un anno fa è divenuto «digital champion» del governo Renzi. È una sorta di ambasciatore dell’agenda digitale italiana in nome della quale incontra banchieri, imprenditori, ministri, presidi, rockstar e maker, ovviamente.

L’aspetto glamour della Maker Faire ha indispettito anche gli studenti della Sapienza che, come questo giornale ha raccontato, hanno contestato duramente la manifestazione. Non hanno gradito che proprio nei giorni della rassegna debbano pagare un biglietto per entrare nei luoghi in cui studiano e lavorano tutti i giorni. Se l’università è «la sede più appropriata in quanto al suo interno si formano le competenze e gli studenti potranno così venire in contatto con realtà innovative», come ha dichiarato il rettore Gaudio, trasformare gli studenti in ospiti paganti non è la scelta più coerente.

Ospiti poco consoni

Gli studenti hanno contestato anche il modello di innovazione che propone la Maker Faire. In effetti, alcune presenze stridono con la filosofia makers. La multinazionale farmaceutica Sanofi, ad esempio, è un partecipante poco credibile in una fiera della condivisione della tecnologia. Il KiteGen (un’ala capace di trasformare in energia elettrica i venti della troposfera) difficilmente può essere un esempio di open hardware, visto che ci sono ben quaranta brevetti da tutelare in modo che nessun altro, oltre all’inventore, ne faccia uso. La sezione musicale della fiera (la novità di quest’anno) vedrà protagonista l’etichetta SugarMusic di Caterina Caselli che, secondo la scheda di presentazione, ha raggiunto il suo picco di popolarità 49 anni fa. Non è chiaro nemmeno come possa essere considerata una start-up di ultima generazione la Sirman, leader nel settore affettatrici, spiedi, tritacarne e segaossa da macelleria, con dieci fabbriche solo nel Veneto.  Non mancherà la fiera di paese, con tanto di workshop sulla dieta mediterranea «importante volano per lo sviluppo regionale», e la presentazione dell’«oliva Salella ammaccata del Cilento».

Il contesto rischia di fare ombra ai veri makers, che pure saranno presenti in forze. Stampanti 3D, robot interattivi, droni factotum, strumenti musicali fai-da-te ad alto tasso tecnologico cattureranno l’attenzione di grandi e piccini. Sarà colpa dell’Expo, ma anche tra i makers 2015 l’alimentazione va forte, con una cinquantina di stand targati «Food»: si va dagli orti «intelligenti» ai forni a energia solare. A dimostrazione che la tecnologia condivisa può davvero aiutare i pazienti, parteciperà alla kermesse anche l’Open Biomedical Initiative, un progetto internazionale nato sul web e finalizzato alla realizzazione di tecnologie mediche libere da brevetti, a basso costo e realizzabili da chiunque abbia a disposizione una stampante 3D.
Gli espositori saranno circa seicento. Capire se si tratti di una pattuglia di mattacchioni o se davvero queste idee possano alimentare un circuito economico innovativo sarà difficile come sempre.

Il mercato respingente

Per ora i dati sull’economia italiana parlano chiaro: i piccoli aumenti nella produzione provengono dalla solita vecchia industria dell’auto, non dalle imprese start-up.

Ma start-up vuol dire davvero innovazione? Di prodotto o di processo? Non è forse l’incarnazione odierna della tradizionale impresa a conduzione familiare?
Per capirci qualcosa, potrebbe aiutare il recente rapporto Isfol Partire dalla domanda per migliorare l’offerta. La parola ai makers curato dalla ricercatrice Roberta Pistagni, di cui si discuterà alla Fiera. Pistagni ha intervistato trentaquattro makers italiani, ottenendo risposte non sempre scontate e piuttosto scoraggiate. Secondo gli intervistati, in molte regioni «non esiste un mercato del lavoro» per loro, altro che Pil. Colpa della «concorrenza della grande distribuzione, in particolare le aziende cinesi».

Meglio così, secondo Pistagni: «Il fatto di venir pagati per fare quello che si farebbe comunque gratis, per piacere e bisogno personale, potrebbe distrarre dalla motivazione originaria e non far sentire più quella ’fame’ che dà impulso alla creazione». Sulle politiche economiche, qualcuno chiede di «reinserire il dazio per i prodotti oltre frontiera, favorendo così il prodotto interno». E i rapporti tra makers e università? «Spero che il movimento ne stia alla larga; già il fatto che la prossima Maker Faire di Roma venga organizzata alla Sapienza lascia perplessi». Più chiaro di così.