C’è chi, con spirito leguleio, vi troverà comunque un vizio, un sospetto, un’ombra di compiacenza, una furbizia elettorale. Io vi leggo un gesto di coraggio politico che molti altri governi, d’ogni colore politico, si sono ben guardati dal fare: desecretare tutti gli atti e i documenti che hanno accompagnato le mille menzogne di stato sulle stragi è un atto che oggi possiede straordinaria forza simbolica perché si rivolge non solo alle vittime e ai loro familiari ma a tutti gli italiani che di quelle menzogne sono figli e vittime.

Si dice che in questi anni ai magistrati nulla ha impedito di conoscere quelle carte. Vero: ma che c’entra?

Il diritto di avere accesso alla verità della storia non può essere barattato con le verità giudiziarie su quelle stragi. Accanto ai giudici e ai tribunali, c’è un’intera nazione che rivendica la possibilità di sapere, di guardarsi dentro, di giudicare le cose accadute e di trarne le conseguenze. O forse qualcuno pensa che mi bastino, e mi consolino, i dodici processi senza colpevoli sulla strage di piazza della Loggia? Che a far la storia e la coscienza di una nazione sia sufficiente una sentenza di condanna o di assoluzione?

Lo so, dopo tanti anni togliere il segreto su quegli atti ci consegnerà molte carte fumose, sbiadite, spesso inutili. La cartolina ingiallita di un’Italia che non c’è più: scomparsi i suoi protagonisti politici, smarrita la memoria delle bugie, perfino le ragioni di quella riservatezza ci tornano indietro astruse, incomprensibili. Ed è proprio questa l’offesa più grave: spesso in quelle carte non c’erano nemmeno segreti da difendere ma solo la scelta di tenere questo paese al di là e al di fuori, indegno di verità e di spiegazione, un paese non abbastanza adulto nemmeno per la funzione più alta della democrazia che è quella della verità.

Questa desecretazione forse non ci svelerà nomi e cognomi, ma riconosce finalmente agli uomini e alle donne di questa nazione quel diritto a sapere, a capire e a giudicare che per troppo ignobile tempo ci è stato negato. E il diritto alla verità è più importante della verità stessa: in esso si ritrova la dignità di un popolo a non essere tenuto ai margini della propria storia.

Non è questo in fondo che si chiede alla faticosa indagine sulla trattativa fra Stato e mafia? Non solo e non tanto la tardiva giustizia per eventuali reati ma anzitutto il diritto di sapere quale prezzo fu offerto ad autori e mandanti di quelle stragi, quale pedaggio ha pagato la nostra democrazia in nome della ragion di Stato, di quante inesorabili menzogne è stata figlia questa lunga stagione politica.

Certo, adesso serve che ogni carta, ogni atto, ogni scrittura vengano censite e messe a disposizione dell’archivio di Stato, e dunque di tutti. Ma è indispensabile anzitutto tenere vivo lo spirito di questo gesto.

Al governo, a Matteo Renzi, chiedo di rimediare a ciò che prima di lui hanno fatto ben quattro governi e quattro presidenti del consiglio (Prodi, Berlusconi, Monti e Letta): tolga il vincolo del segreto di Stato su tutti i documenti relativi al rapimento di Abu Omar e alle innominate complicità tra una parte dei nostri servizi e la Cia.

Grazie a quel segreto, usato come una clava da governi d’ogni colore politico, Pollari e Mancini sono stati liberati dalle loro responsabilità penali di fronte alla legge. Che almeno restino chiare le loro responsabilità di fronte alla storia.