Undici miliardi di euro. Tanto nei prossimi tempi l’Europa verserà a Kiev. A dire il vero Bruxelles scucirà solo tre miliardi. Gli altri arriveranno dalla Banca europea per gli investimenti (tre) e dalla Banca europea per la ricostruzione e per lo sviluppo (cinque).

La stazza del pacchetto di aiuti, a prescindere dalle ripartizione delle quote, ha stupito: nessuno s’aspettava che fosse così imponente. È stata la svolta in Crimea, con lo spostamento del referendum dal 30 al 16 marzo e la rimodulazione del quesito (ora si parla di adesione alla Russia), a spingere gli europei a collocare più in alto l’asticella. Una reazione al gioco duro di Mosca. Condita da un dettaglio che non lascia indifferenti. L’importo del sostegno è lo stesso che Vladimir Putin aveva accordato a Viktor Yanukovich a dicembre. Quell’intesa scacciò da Kiev lo spettro della bancarotta e offrì ossigeno all’ex capo di Stato ucraino, dandogli modo di temperare le proteste e accendere la macchina elettorale in vista delle presidenziali (dovevano tenersi a febbraio 2015). Poi è andata com’è andata e l’accordo è venuto meno. Adesso il piano è rovesciato, con l’Europa a offrire all’Ucraina, un’altra Ucraina, la propria sponda.

Questi soldi verranno versati progressivamente e serviranno, stando al comunicato diffuso al termine del Consiglio europeo di giovedì, a ridare stabilità macroeconomica. La baracca ucraina è più che mai fragile, d’altronde. La fuga di Yanukovich, il cambio della guardia a palazzo e la faccenda della Crimea hanno aggravato una situazione che era già ballerina. Il paese ha sia un elevato deficit pubblico (il Financial Times lo stima all’8%) che di bilancia commerciale (intorno al 9%), la crescita è stagnante da due anni, il peso dei mutui non performanti si fa sempre più sentire, gli investitori stanno togliendo il disturbo e la hryvnia, la moneta nazionale, perde valore rapidamente.

L’Ue sosterrà l’Ucraina anche a livello energetico, dal momento che la Russia non ha più intenzione di rispettare il taglio sulla tariffa, abbassata da 400 a 268 dollari per mille metri cubi, con cui aveva accompagnato il prestito firmato a dicembre. Insomma, Gazprom chiederà un conto salato. Bruxelles lo compenserà dirottando su Kiev una quota del gas che importa dalla Russia, oltre a garantire la quanto più rapida firma degli Accordi di associazione e delle misure sul libero scambio che Yanukovich, a novembre, aveva respinto. Fu quello a scaraventare la gente in piazza.

Il sostegno europeo non sarà senza contropartite. Bruxelles pretende riforme strutturali, specie sui fronti della lotta alla corruzione e della trasparenza. Un messaggio chiaro: Kiev deve prendere a martellate il suo sistema economico, contraddistinto da forte opacità, segnato dall’intreccio tra politica e oligarchie, allergico a parole come competitività e concorrenza. Comunque sia il menu europeo, a cui s’aggiunge il miliardo di dollari in arrivo da Washington, non è sufficiente a mettere al riparo l’ex repubblica sovietica dai guai. Servono più quattrini. Li metterà il Fondo monetario internazionale, è scontato.

Qui si apre un’altra partita. Diversi analisti sostengono che mentre il prestito europeo non comporta problemi, anzi, è stato accolto a braccia spalancate, l’intervento del Fmi preoccupa il governo e le oligarchie. Il fatto è che Kiev ha sempre manifestato fastidio nei confronti della ricetta austera dell’istituzione attualmente diretta dalla francese Christine Lagarde. Quando scoppiò la crisi globale l’Ucraina fu tra i primi paesi a cadere al tappeto e il Fmi arrivò a Kiev con i cordoni della borsa allargati, pretendendo però interventi su salari pubblici e pensioni, come sul gas, i cui prezzi sono sempre stati tenuti artificiosamente e populisticamente bassi da chiunque abbia governato. In due occasioni gli accordi sono saltati. La prima volta con la Tymoshenko al potere; la seconda nell’era Yanukovich.

Entrambi, contravvenendo a impegni presi formalmente, si sono rifiutati di impugnare le forbici o caricare eccessivamente le bollette. Il gioco riprende da qui. Il negoziato con il Fmi dovrà tenere conto di una duplice esigenza. Da una parte c’è bisogno di aggredire i monopoli ucraini, creare una classe media e ridistribuire la ricchezza. Il 50% del Pil è in mano a 50 baroni dell’economia, con la complicità della politica. Dall’altra le misure, in una situazione emergenziale, non dovrebbero ricadere su una popolazione che boccheggia, non da ieri. La trattativa si svolgerà su un filo piuttosto sottile.