Le diplomazie del ’Mef’  e di Palazzo Chigi impegnano il pomeriggio a buttare secchiate d’acqua per spegnere la notizia. Nessun giallo, giurano, normale prassi. Ma è per lo meno inconsueta la convocazione del ministro dell’economia Pier Carlo Padoan ieri, in tarda mattinata, al Colle. Prima di controfirmare il decreto Irpef, Napolitano chiede «ulteriori chiarimenti». Niente più che «uno scambio di opinioni» previsto da tempo, filtra dal Colle. Il presidente vuole parlare degli effetti del decreto e condividere valutazioni «sull’impatto che avrà nel prossimo futuro sull’economia». Il ministro sale al Quirinale con il pesante faldone della relazione tecnica. Alla fine del colloquio, al momento della firma, il testo «non è mutato di una virgola». I dipendenti con un reddito tra gli 8 e i 24mila euro (quindi non più 26mila) si troveranno in busta paga da maggio il «mitico» bonus di 80 euro al mese, 640 euro annui.

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Eppure negli scorsi giorni i contatti informali c’erano stati. Ma quello che preoccupa il Colle non è solo, o non tanto, il decreto, quanto le nuove promesse che mercoledì Renzi ha fatto via twitter: la riduzione delle tasse ai pensionati e alle partite Iva, l’aiuto agli incapienti. Promesse impegnano altri 20 miliardi sulla prossima legge di stabilità. Una cifra enorme. Padoan, il ’tecnico’ che deve tradurre in numeri gli annunci, deve spiegare cosa ha in mente il «torrente impetuoso» di Palazzo Chigi. Le cui promesse non possono spingersi molto oltre le compatibilità economiche. Un ex del governo Letta, molto vicino all’ex premier, è scettico: «Questi provvedimenti non sono stati promessi un anno fa per una ragione semplice: non ce li possiamo permettere». Ma nessuno nel Pd vuol fare la parte del ’gufo’ a un mese dal voto.

In più c’è Renato Brunetta che in mattinata tira in ballo direttamente il Colle: il decreto è «il cadeau» che favorisce la campagna elettorale di Renzi, «rinnoviamo il nostro appello affinché non si compia un atto che potrebbe avere conseguenze gravi per il nostro Paese».

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Da qualche giorno Forza Italia, in piena caduta di consensi, parla dell’«incubo di una nuova procedura d’infrazione» dell’Europa sull’Italia. E a paventa l’eventualità che a giugno, dopo le elezioni, l’Europa risponda picche alla richiesta di rimandare il pareggio di bilancio, scritto nella Costituzione e derogato con voto del parlamento. Spettri da agitare in campagna elettorale, certo. Ma dubbi simili serpeggiano anche nella maggioranza.

Tanto più che per tutto il giorno il decreto è cannoneggiato anche ’da sinistra’. Vasco Errani, a nome delle regioni, contesta i tagli a Regioni, Comuni e Enti Locali, per un totale di 2,1 miliardi: «La ripartizione non è equilibrata». E chiede un incontro urgente al premier. Tagli che inquietano anche la Cgil di Susanna Camusso: l’alleggerimento fiscale «non può essere controbilanciato da riduzioni di servizi e occupazione».
Napolitano firma, il decreto viene pubblicato in Gazzetta ufficiale e il bonus da ieri è legge. La conversione inizierà martedì 29 dal Senato. Ma Napolitano non può rassicurare, anzi. Dal Colle si fa sapere che «la misura degli 80 euro in busta paga non è finanziata dalle rendite ma dai tagli alla spesa», appunto. Altri 9,6 miliardi arrivano per il pagamento dei debiti delle amministrazioni pubbliche, oltre ai 47 già stanziati. «Non spunta nessuna nuova tassa, né alcun prelievo sui conti correnti», c’è il «semplice adeguamento, previsto dall’annuncio del 12 marzo» della tassazione sulle rendite finanziarie alla media Ue, dal 20 al 26%». Padoan ribadisce via twitter: «Meno tasse sulle imprese e su chi crea lavoro, nessuna nuova tassa sulla ricchezza», «un aumento del prelievo sui guadagni della ricchezza finanziaria». Se poi le banche, come minacciano, prenderanno quei soldi dai loro clienti, lo vedremo più avanti. Anche questo dopo il 25 maggio.