Tre professori di scienze politiche (Thomas Zeitzoff della Princeton University, Kyle Dropp del Dartmouth College e Joshua D. Kertzer della Harvard University) hanno pubblicato un interessante studio effettuato tra il 28 e il 31 marzo 2014. Durante questi quattro giorni hanno chiesto a 2.066 cittadini statunitensi quale fosse, secondo loro, la politica che Washington dovrebbe adottare per fronteggiare e risolvere il problema ucraino. Abbinata a questa domanda, a ogni intervistato è stato chiesto di localizzare su una mappa mondiale l’Ucraina. Scopo del sondaggio, fatto con l’aiuto dell’agenzia specializzata Survey Sampling International Inc., era quello di scoprire se vi fosse una relazione tra le idee di politica estera degli statunitensi e la loro conoscenza geografica.

I risultati sono quantomeno curiosi: solo il 16% è riuscito a localizzare correttamente l’Ucraina mentre la maggioranza degli interpellati ha indicato un punto entro un raggio di circa tremila chilometri da Kiev (approssimativamente un luogo compreso tra i confini orientali del Kazakhstan, il Portogallo, la Scandinavia e il Sudan). La maggior concentrazione degli errori si è focalizzata nella regione mediorientale e del Centro Asia (Iran, Pakistan, Afghanistan, Kyrgyzistan, Uzbekistan, Paesi del Caucaso), ma c’è chi pensa che l’Ucraina sia in Australia, in qualche luogo dell’Africa, del Sudamerica, Groenlandia (molti, forse ingannati dalla grandezza del territorio d’oltremare danese, hanno suggerito questa soluzione), Canada o addirittura negli stessi Stati Uniti. Suddividendo il campione in classi d’età, i tre ricercatori hanno evidenziato che il 27% degli intervistati tra i 18 ed i 24 anni hanno saputo localizzare l’Ucraina in modo esatto o con un margine di errore minimo, contro il 14% di responsi corretti dati dagli ultrasessantacinquenni (ma il 77% dei diplomati ha sbagliato nell’indicare la posizione geografica del paese europeo).

Ciò che emerge con preoccupazione dall’inchiesta, però, non è tanto la pessima conoscenza geografica degli americani (difetto che è sempre stato sottolineato sin dalla guerra del Vietnam e che si è trascinato nelle successive azioni belliche di Washington), quanto il fatto che questa ignoranza va di pari passo con la tendenza all’interventismo. Zeitzoff, Dropp e Kertzer hanno potuto relazionare la proporzionalità diretta della scarsa conoscenza geografica con l’attitudine richiesta all’amministrazione statunitense di risolvere ogni tipo di conflitti con interventi diretti usando azioni militari (il 13% di chi ha risposto al sondaggio appoggerebbe questa soluzione) o indiretti con azioni di boicottaggio verso il G-8 o la Russia (il 45% degli intervistati). Inoltre più lontana è la consapevolezza di dove si trovi l’Ucraina, più ampia è la propensione a richiedere un intervento militare diretto.

La mancanza di preparazione geografica da parte degli statunitensi è proverbiale, ma non è mai stata considerata come problema incalzante da risolvere per qualsiasi amministrazione che si è succeduta alla Casa Bianca. Da un rapporto commissionato nel 2006 da GFK-Roper Public Affair e dalla National Geographic Foundation, su un campione di 510 persone tra i 18 ed i 24 anni il 63% non sapeva localizzare l’Iraq neppure su una mappa limitata al Medio Oriente, nonostante l’argomento fosse al centro dell’attenzione mediatica sin dal 2003 (sulla stessa mappa Israele e Iran erano nazioni «introvabili» per il 75% delle persone intervistate). All’indomani dello tsunami del 2004 il 75% non sapeva indicare dove si trovasse l’Indonesia e che questo immenso arcipelago fosse la più grande nazione musulmana al mondo. La posizione dell’Afghanistan e della Corea del Nord è risultata incognita rispettivamente per l’88 e il 70% delle persone interpellate.

Forse, riconducendoci al sondaggio fatto da Zeitzoff, Dropp e Kertzer non è una coincidenza che la maggioranza degli statunitensi guardino o abbiano guardato con favore a un intervento militare in queste ultime due nazioni. Mente non conosce, coscienza non duole.