«Non mi sento ultimo io». E lo ripete. Il luogo è uno dei punti più alti della Linea Gotica, le parole sono di Germano Pacelli, tornato su quei monti che da ragazzo aveva imparato a conoscere bene. Arriva la nebbia e Germano è una figura che scompare. «Questa immagine finale per me è molto importante, emblematica», spiega Samuele Rossi, autore del documentario La memoria degli ultimi. «Perché», continua, «è come se in qualche modo ponesse un interrogativo fondamentale a noi tutti, al nostro paese: ora cosa vogliamo fare?».Domanda ideale che arriva a conclusione di un percorso nell’Italia centro-settentrionale attraverso le testimonianze di sette ex partigiani combattenti, una donna e sei uomini: Laura Francesca Wronowski, Germano Pacelli, Massimo Rendina, Giorgio Mori, Ermenegildo Bugni, Giorgio Vecchiani e Umberto Lorenzoni. Nati fra il 1920 e il 1927, di estrazione sociale e culturale differente, ma accomunati dall’esperienza della Resistenza, «giovani vite messe a dura prova dalla storia», commenta Rossi, giovane pisano, già assistente alla regia in Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli e La Passione di Carlo Mazzacurati e autore nel 2011 del lungometraggio La strada verso casa, incrocio di tre storie di dolore. La memoria degli ultimi rappresenta il suo approdo al documentario: «Mi sono formato nel cinema di finzione ma mi sembra che oggi questo tipo di cinema non sia in grado di raccontare alcune sfumature della realtà». Il documentario, dunque, come esigenza, come la possibilità di uno sguardo più ampio. Come sviluppo ulteriore di una prospettiva precisa: «I miei due film sono molto diversi, eppure solo apparentemente lontani. Perché un punto di contatto possibile è proprio questa attenzione all’essere umano. Con le sue scelte, con la sua intimità». Presentato l’8 aprile al Bif&st di Bari, in città è stato annunciato da piccole isole per le strade, tracce di memoria da condividere, realizzate con un mucchio di terra polverosa e la lettera, offerta all’attenzione dei passanti, del fratello disperso in Russia di Giorgio Vecchiani. La memoria degli ultimi ha iniziato il suo tour in Italia, fra Taranto, Torino, Bologna, Firenze, Pisa e altre città, con tappa a Milano il 25 aprile, per continuare poi il suo «viaggio della memoria da Sud a Nord, che in qualche modo è anche un omaggio al percorso ’in salita’ dell’Italia liberata». Dal 15 del mese, inoltre, sarà distribuito in Dvd da CG Home Video (che in parallelo distribuisce anche La Strada verso casa, sempre dal 15), mentre il 14 aprile, per i primi 300 utenti che ne faranno richiesta, sarà disponibile in anteprima streaming gratuita su Mymovieslive!. Ha preso anche il via la campagna #nonperderelamemoria, concepita quasi come una sorta di prolungamento del film, in continuità con l’idea e lo spirito partecipato che è alla sua base, per aumentare i punti di vista, allargare la condivisione, consentendo agli utenti del Web di inserire sul sito e sui social network del film documenti relativi all’esperienza della Resistenza, lettere e racconti di parenti, materiale video e fotografico.
Perché è questo che manca all’Italia, secondo il regista, «la capacità di recuperare una dimensione coesa». E mentre Umberto Lorenzoni – figlio di famiglia agiata, studente ritrovatosi partigiano – sostiene fiducioso che sono soprattutto i giovani il nerbo per rinnovare la memoria, Rossi aggiunge: «Non riesco a condividere l’ottimismo di Umberto. L’Italia è un paese lacerato,un paese che ha perso il senso della dignità, del pudore, senza cognizione di se stesso, che ha rimosso il suo passato e non riesce ad avere un ‘idea di futuro, è un non-paese, che ha messo ai margini la propria memoria o al massimo ne ha fatto oggetto di mera retorica. Ed ero ben consapevole che con La memoria degli ultimi il primo rischio era proprio questo, la retorica, ma ho cercato di non trarre o consegnare al pubblico alcuna conclusione, spetta a chi vede il documentario farlo. Perché questo film parla anche di noi, del nostro presente». Un film che diventa narrazione, anche un film d’amore, che sa emozionare chi lo guarda. E chi lo racconta, i suoi protagonisti, in un ritorno al passato non solo tramite il ricordo ma anche, per alcuni, con le proprie gambe, sui luoghi del conflitto. «Andare in quei luoghi è stata una esperienza strana, anche di disagio», afferma Rossi, «perché lì non ci sono stati solo momenti di condivisione, di solidarietà, ma anche di morte». E Umberto spiega: «La mia, e quella di tanti altri, è stata la scelta più difficile: la scelta per il popolo, per i poveri. Per quelli che sono diventati i miei compagni e mi hanno insegnato a mangiare quello che si trovava, a dormire dove si poteva». Umberto ha 88 anni, la sua mano sinistra è la fotografia di un combattimento contro i nazisti. I suoi occhi e il suo sorriso sono dolcissimi, le sue parole sanno disegnare immagini e storie: «Io non ho mai accettato che qualcuno mi impedisse di fare qualcosa, e per vent’anni era successo proprio questo, avevano impedito al paese questa libertà». Poi conclude: «Abbiamo fatto la Resistenza. Se oggi sperano di stancarci, si sbagliano».