In un paese tra i primi produttori di armi al mondo, con una parte del proprio territorio in mano a filorussi armati, ma non invitati a Ginevra dove si è discusso del loro futuro, soltanto gli ottimisti per principio potevano pensare che l’accordo raggiunto nella capitale elvetica, avrebbe potuto cambiare di punto in bianco la situazione.

Per quanto la Russia abbia accettato di sedersi al tavolo con Usa, Kiev e Unione europea, era evidente che l’assenza dei «separatisti» avrebbe potuto provocare dei problemi. Ieri, non a caso, dall’est del paese è arrivata la risposta a Ginevra: da un lato ci sono stati altri scontri con le truppe del governo di Kiev, che ha annunciato di non avere intenzione di ritirare i propri militari, dall’altro le forze filorusse hanno specificato di non avere alcuna intenzione di disarmarsi, di mollare le occupazioni degli edifici. Fino a quando?

Fino a che, hanno spiegato, il governo di Majdan, proclamato dalla folla di Kiev dopo la battaglia contro Yanukovich, non se ne andrà. La garanzia, per loro, di un potenziale cambiamento istituzionale, in grado di creare zona di piena autonomia a est, è un governo che non sia nato proprio in funzione anti russa. L’autoproclamata Repubblica di Donetsk, dunque, non vuole mollare (mentre si sgonfiano le notizie circa progrom anti ebraici, denunciati addirittura da Kerry e rivelatisi poi una bufala).

Ieri il vice comandante della «milizia popolare» di Donetsk, Serghiei Tsipliakov, ha detto in un’intervista alla testata Rbk che i suoi uomini sono disposti ad accordarsi con il governo di Kiev solo se sarà concesso il referendum per definire lo status delle regioni di Donetsk e Lugansk e chiedere la sovranità della zona e forse anche l’annessione alla Russia.

L’accordo di Ginevra evidenzia quindi due ordini di problemi: il primo riguarda la sottovalutazione dello stato confusionale del governo autoproclamato di Kiev. La sitauzione economica del paese è sull’orlo del collasso, l’austerity richiesta dal Fondo monetario internazionale complicherà ancora di più la vita degli ucraini, sempre più sfiduciati rispetto alla piega degli eventi. Kiev non è in grado di controllare le regioni orientali, così come non ha potuto fare niente per la perdita della Crimea: i suoi soldati si sono ammutinati, sono stati disarmati e non sono in grado di avere la meglio contro la determinazione dei filo russi.

Il secondo problema è di ordine internazionale. Mentre l’Europa è persa nelle proprie divisioni, Usa e Russia, nonostante le promesse date a Ginevra, non sembrano intenzionate a mollare l’osso. Gli Usa infatti proseguono nel loro intento di accaparrarsi spazio a est, mentre la Russia prosegue nella denuncia del piano Nato e nella immaginifica possibilità di creare la «Nuova Russia», come ha spiegato Putin. Inoltre Mosca ha ricordato ancora ieri che l’impegno al disarmo, vale per le regioni orientali, quanto per i gruppi paramilitari e ultra nazionalisti che così tanto peso hanno avuto nella recente storia del paese.

«Quando parliamo di disarmo in Ucraina – ha dichiarato il ministero degli Esteri russo – questo riguarda prima di tutto prendere le armi a Pravi Sektor». Entrambi gli Stati si dicono disposti a mediare, ma allo stesso tempo insistono – ovviamente – sui propri interessi. Ieri Kiev ha provato a reagire a questo stallo, provando a mettere in piedi un’impalcatura di riforme in grado di giustificare gli accordi di Ginevra.

Mentre gli insorti filorussi continuano a occupare edifici amministrativi in una decina di città della russofona Ucraina orientale, il premier ad interim ucraino Arseni Yatseniuk ha promesso «maggiore autonomia alle regioni e uno status speciale per la lingua russa». Yatseniuk ha quindi annunciato una «riforma costituzionale globale» che porterà all’abolizione delle amministrazioni statali delle regioni e dei distretti e «rafforzerà i poteri delle regioni».

Il presidente Oleksandr Turchynov da parte sua ha affermato che «per assicurare la pace e la mutua comprensione tra i cittadini ucraini, ai consigli regionali, municipali e distrettuali sarà dato il potere di decidere l’assegnazione dello status di lingua ufficiale al russo o ad altre lingue parlate dalla popolazione locale, assieme alla lingua dello Stato ucraino». Per ora queste misure non sembrano bastare.