Il movimento #BlackLivesMatter continua ad avere validi motivi di protesta, visto il costante ripetersi di violenze – spesso omicidi – da parte delle forze di polizia contro afro americani.

“Trayvon Martin sarebbe potuto essere me 35 anni fa”, ha detto Obama il 19 luglio 2013, dopo la conclusione del processo in cui erano coinvolti il 18enne afroamericano e il suo assassino, George Zimmerman. Le parole di Obama hanno determinato una svolta radicale per quel che riguarda l’attenzione mediatica e politica rivolta alla discriminazione degli afroamericani.

Nonostante l’intervento della Casa Bianca, sembra che la situazione sia cambiata poco. L’ultimo episodio risale al 22 luglio scorso, quando Samuel DuBose, 43enne afroamericano di Cincinnati, viene ucciso alla guida dall’agente Ray Tensing perché non si sarebbe fermato, dopo la richiesta dell’agente. Pochi giorni prima, aveva scosso ancor più l’opinione pubblica la vicenda di Sandra Bland, deceduta – si tratta della prima di tre donne morte in due settimane – mentre era in custodia della polizia.

Sandra, trasferitasi da poco a Waller County, Texas, guidava in direzione sud verso le 16:30 quando viene fermata dall’agente Brian Encinia per non aver segnalato il cambio di corsia con gli indicatori di direzione. L’arresto è discutibile: stando al video rilasciato dalla polizia stessa e da un testimone oculare, la donna viene tirata fuori dalla macchina e minacciata dall’agente Encinia, che non si limita solo ad usare il Taser, ma è anche autore di violenze fisiche sulla 28enne, ripresa in ginocchio sul prato a bordo della strada. Accusata di essere ‘combattiva e poco collaborativa’, Sandra viene arrestata per assalto a pubblico ufficiale, reato di terzo grado negli Usa. Sul video rilasciato dalla polizia sono sorte numerose questioni che fanno pensare ad un rimaneggiamento del clip, sebbene sia poi stata rilasciata una seconda versione più lineare, in cui non sembravano esserci modifiche. Ecco il video dell’arresto, ripreso da un testimone oculare, che raffigura la vittima al bordo della strada mentre viene minacciata dall’agente.

Dal 10 al 13 luglio, tempo che ha passato nella prigione di Waller County, in una cella che normalmente avrebbe dovuto ospitare quattro detenuti, la famiglia ha poche sue notizie: Sandra ha diversi problemi con il pin del telefono, ma riesce comunque a contattare i familiari e un paio di amici, chiedendo aiuto a raccogliere i 5.000 dollari di cauzione per essere liberata. Il 13 luglio alle 9 di mattina circa, Sandra viene trovata impiccata nella sua cella. Nell’abitacolo non ci sono telecamere, quindi quello che è successo ci viene comunicato solo da chi si trovava nei pressi. Si tratta delle persone che poi hanno chiamato la guardia medica per far tentare invano di rianimare Sandra. Qui anche il messaggio vocale lasciato da Sandra durante la detenzione.

Secondo l’autopsia, Sandra Bland è morta per asfissia autoinflittasi con la busta della spazzatura presente nella cella. Molte domande sono sorte nel momento in cui la famiglia e gli amici della donna hanno negato una sua apparente depressione o un presunto istinto suicida. “Ho difficoltà a sopportare l’incoerenza”, dice alle CNN Sharon Cooper, sorella di Sandra Bland, “che sembra essere il tema principale dell’ultimo paio di giorni”.

I dubbi sorti dopo le varie dichiarazioni della polizia e della famiglia sono più di quanti ce ne fossero prima: oltre al fatto che i parenti della Bland non erano al corrente dell’apparente tentativo di suicidio avvenuto nel 2012. Ancora oggi affermano che la donna non avrebbe potuto compiere un gesto simile, e che non le è mai stata clinicamente diagnosticata la depressione. Hanno chiesto di conseguenza un’autopsia privata, i cui esiti sono ancora ignoti.

Le discordanze tra i fatti e le dichiarazioni fanno sì che ancora una volta, dopo numerosi episodi di natura simile, sorgano proteste messe in atto per lo più dalla comunità afroamericana, come quelle avvenute a Ferguson l’anno scorso.

Che sia Sandra Bland, Trayvon Martin o Eric Garner, la situazione è comunque gravissima: secondo un sondaggio del Guardian, le vittime di sparatorie non necessarie provocate da agenti di polizia arriveranno a 1.100 alla fine di quest’anno. Sono comprese 500 vittime nei primi sei mesi, con gli afroamericani che hanno il doppio delle possibilità di morire.

“E’ qualcosa di cui ci dovremmo vergognare profondamente e che dovremmo essere determinati a cambiare urgentemente perché è letteralmente una questione di vita o di morte per molte persone, e molte di quelle persone mi assomigliano”, ha detto Brittany Packnett, attivista e membro del programma di Obama ‘Task Force On 21st Century Policing’.

“I dati incompleti e inaffidabili rendono più difficile capire la reale portata del problema e più complicato arrivare ad una soluzione politica”, ha scritto Cory Booker, senatore democratico, in un post online.

Poche persone, tra cui il sopracitato, la collega Barbara Boxer e il membro della Camera dei Rappresentanti Steve Cohen hanno già pensato a provvedimenti legislativi. Forse anche altri potranno cominciare a pensarci, con un migliaio di vittime alle spalle.