«Semo venuti già formati» era scritto sullo striscione esposto ieri sul palco in piazza del Pantheon a Roma dove ottocento archeologi, archivisti, bibliotecari, storici dell’arte, restauratori, lavoratori dello spettacolo, studenti hanno chiesto la riformulazione del bando «500 giovani per la cultura» indetto dal ministero dei beni culturali (Mibact, con scadenza 24 gennaio) e «più tutele a chi tutela» il patrimonio. «È finito il tempo del meglio di niente – ha detto Angelo Restaino degli archivisti in movimento – in cui accettare come una manna ogni briciola che arriva. È finito il tempo di percorsi formativi senza conclusione che tengono i lavoratori già ampiamente formati in un perenne stato di minorità professionale ed esistenziali in progetti di precariato mascherato da formazione».

La manifestazione ha ricevuto il sostegno dei sindacati (dalla Uil alla cohnsulta delle professioni della Cgil a Sinistra ecologia e libertà) e ha ribadito l’opposizione ad un bando che assegna 5 mila euro lordi all’anno a «giovani under 35» per la digitalizzazione del patrimonio culturale italiano. «Il 50% degli archeologi ha una formazione post lauream, il 28% ha frequentato almeno un master – ha detto Alessandro Pintucci, presidente della Confederazione Italiana Archeologi – eppure per il Mibact queste persone non hanno bisogno di un lavoro ma di un ulteriore anno di formazione nella forma di un tirocinio pagato in tutto 5000 euro». «Vogliamo retribuzione e tutele previdenziali adeguate, non tirocini” ha ribadito Beatrice Mastrorilli degli “storici dell’arte unitari».

A metà dicembre, all’inizio di questa polemica, Bray aveva portato da 110 a 100 il voto di laurea minimo per accedere alla selezione, ha eliminato l’obbligo di certificare la competenza lunguistica, ha ridotto da 1400 a 600 il numero di ore annue per l’attività di formazione. Modifiche che ieri sono state rifiutate. I manifestanti hanno chiesto invece una riforma del lavoro nei beni culturali: «Non una finta formazione, ma una buona occupazione». E poi un concorso pubblico per i profili tecnico-scientifici al Mibact, il reperimento di fondi adeguati per incentivi alle assunzioni nel settore privato, ormai prevalente nell’economia della cultura in Italia.

Alle 11, poco dopo l’inizio della manifestazione, è arrivata la risposta di Bray attraverso un laconico ed enigmatico tweet: «Condivido la protesta dei professionisti della cultura per i blocchi alle assunzioni e mi impegno a portare le loro ragioni al Governo». Dal palco della manifestazione il presidente dell’associazione nazionale archeologi (Ana) Salvo Barrano ha risposto: «Se condivide le nostre richieste allora vuol dire che il ministro condivide le nostre richieste, sospenda il bando, riveda il decreto “Valore Cultura”. Dalle parole passi ai fatti».

Il ministro non ha tuttavia risposto a queste sollecitazioni, né ha chiarito se e come intende interloquire con posizioni che contestano l’impostazione di un provvedimento coerente con l’ «assistenzialismo e il paternalismo», così sono state definite le politiche del lavoro adottate dal governo Letta. «Oltre alla saldatura del mondo dei beni culturali – ha continuato Barrano (Ana) – la vera notizia di questa manifestazione è che si è consolidata una coalizione sociale che include anche i lavoratori dello spettacolo e gli studenti. A partire dalla prossima settimana cercheremo di tirare le fila e di autoconvocarci nuovamente per avviare un percorso di elaborazione condiviso sui temi delle politiche culturali».

Dello stesso tenore è stato infatti l’intervento dell’attrice Ilenia Caleo che ha parlato per il teatro Valle occupato e per la rete dei teatri e degli atelier occupati in tutto il paese. «I professionisti e i lavoratori della cultura, gli intermittenti e i precari, devono cotribuire in prima persona alla definizione delle politiche culturali. Questo lo possiamo fare coalizzandoci ed esprimendo una composizione sociale che esiste in Italia, ma deve prenderne coscienza».