Finora Rinat Akhmetov era stato guardingo. Ha invocato conciliazione e unità, smarcandosi dall’eredità scomoda di Yanukovich (che ha finanziato generosamente), senza però giocare troppo di sponda con Kiev. Ma alla fine il magnate dei metalli, l’uomo più ricco d’Ucraina, ha rotto gli indugi prendendo una chiara posizione contro i ribelli filorussi, che controllano alcune parti delle regioni di Donetsk e Lugansk.

A Donetsk Akhmetov ha il baricentro dei propri affari. Alcune sue fabbriche si trovano nelle aree controllate dai separatisti. Se ci fosse la secessione ci rimetterebbe in termini di soldi e capannoni. Insomma, meglio con Kiev che con nuovi e imprevedibili padroni. Sembra questo il ragionamento dell’oligarca, che ieri a Donetsk ha promosso una manifestazione per l’unità nazionale nello stadio dello Shakhtar Donetsk, la squadra calcio di cui è proprietario. Non casualmente, tutto questo arriva alla vigilia delle presidenziali, su cui Kiev e il blocco euro-atlantico investono molto. Tutto deve filare liscio.

S’è manifestato anche fuori dallo stadio dello Shakhtar. Nelle strade di Donetsk si sono riversate decine e decine di auto, intasando il traffico e sventolando il bicolore gialloblu ucraino. Oggi e nei prossimi giorni dovrebbero esserci comizi e altro baccano sull’asfalto. Akhmetov, che a Donetsk ha 300mila dipendenti, tutti mobilitabili, ha invitato a tenere proteste quotidiane. Bisogna reagire, altrimenti sarà genocidio: così ha affermato, riferendosi al pericolo portato a suo avviso dai filorussi. Che da parte loro accusano Akhmetov di tradimento. Non solo, perché i filorussi, in serata, di fronte all’atteggiamento del tycoon hanno minacciato di nazionalizzare le sue aziende.
Intanto, nuove schermaglie tra Russia e Nato. La prima riferisce che le truppe sul confine ucraino stanno sbaraccando.

La seconda, che invita i suoi soci a incrementare le spese in difesa, nega la cosa, in attesa del vertice dei ministri della difesa di oggi. Altra notizia di ieri: le forze ucraine hanno fermato Graham Phillips, giornalista britannico della tv russa RT, accusandolo di spionaggio. L’unica cosa che pare certa è che domenica, alle elezioni, trionferà Petro Poroshenko. Potrebbe persino chiudere il discorso al primo turno. Classe 1965, nato a Odessa ma cresciuto a Vinnytsia, nell’Ucraina centro-occidentale, Poroshenko è il settimo uomo più ricco del paese. Un oligarca. Come Akhmetov. Il pilastro delle sue attività è l’industria dolciaria, con la rinomata azienda Roshen a fare da ammiraglia. Il suo impero si estende anche ai media. Sua è la tv 5 Kanal.

La carriera politica di Poroshenko non è lineare. Sul finire degli anni ’90 si avvicinò al Partito socialdemocratico, formazione filorussa che sosteneva il presidente Leonid Kuchma. Nel 2001 compartecipò alla nascita del Partito delle regioni. Ne uscì quasi subito, accasandosi in Nostra Ucraina con Viktor Yushchenko.

Dopo la rivoluzione arancione del 2004-2005 sono fioccati gli incarichi. Segretario del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa, capo del board della Banca centrale (2007-2012) e ministro degli esteri, tra il 2009 e il 2010, durante il secondo premierato di Tymoshenko. L’ultimo impegno di governo di Poroshenko se l’è procurato nel 2012, ma sull’altro lato della barricata: ministro del commercio nella squadra di Mykola Azarov. La conferma, secondo qualche analista, di una marcata capacità di muoversi tra le linee.

Approccio confermato, in parte, durante la campagna. Poroshenko ha insistito sul destino europeo e assunto anche posture da falco, ma ha evitato riferimenti alla Nato e garantito il decentramento fiscale e linguistico per rassicurare l’est. Ha tuttavia rifiutato la federale, caldeggiata da Mosca. Creerebbe una seconda Crimea, ha spiegato al Washington Post. Poroshenko, domenica, potrà contare su un capitale di voti certo, e ampio: quello di Vitali Klitschko. L’ex pugile, protagonista della protesta anti-Yanukovich, s’è ritirato dalla corsa e ha invitato a sostenere l’oligarca.

C’è chi dice che dietro ci sia lo zampino di Firtash. È il personaggio, chiacchieratissimo, che ha dominato il settore del gas negli ultimi anni. Ha sostenuto Yanukovich, poi ha spostato le attenzioni su Klitschko. Attualmente è a Vienna, fermato di recente e in attesa di capire se verrà estradato negli Usa. Poroshenko è andato a fargli visita. L’Ucraina è dilaniata, ma il gioco degli oligarchi è sempre lo stesso.