Giovanni Zaccaro, giudice alla Corte d’Appello di Roma e segretario di Area democratica per la giustizia, il congresso dell’Anm comincerà venerdì a Palermo, proprio mentre il governo sembra intenzionato a varare la sua riforma della giustizia. Come la vede?
In Italia serve una giustizia che tuteli davvero ed in tempo ragionevole i diritti, soprattutto quelli dei cittadini più deboli, che non possono pagarsi gli avvocati migliori. Il governo Meloni-Nordio invece di investire per una giustizia che funzioni meglio ha deciso di spingere per la separazione delle carriere. Ma non serve a nulla. Una riforma di bandiera. Un vessillo ideologico di una parte minoritaria della avvocatura. Un tributo a vecchie battaglie berlusconiane. Il risultato sarà il sacrificio dei diritti dei cittadini che non avranno le risorse per pagare avvocati all’altezza dei pubblici ministeri, che non saranno più promotori di giustizia ma vorranno la condanna ad ogni costo.

Il titolo del congresso è «Magistratura e legge tra imparzialità e interpretazione». Il presidente dell’Anm Santalucia, nel presentarlo, ha citato il caso della giudice Iolanda Apostolico, messa sotto accusa dalla destra perché aveva partecipato a una manifestazione davanti alla nave Diciotti a Catania. Come fa il magistrato a mostrarsi imparziale?
Molti dicono che i magistrati non solo devono essere imparziali ma soprattutto devono apparire tali. Non vorrei che di questo passo, però, ci si accontenti solo della apparenza di imparzialità senza tutelare l’imparzialità vera e propria, cioè giudici che decidono senza farsi condizionare né dai pregiudizi personali, né dalle pressioni esterne. Con le continue campagne di delegittimazione rischiamo di avere una magistratura imparziale in apparenza, mentre in concreto è impaurita di scontentare i potenti di turno. Invece oggi, con le maggioranze parlamentari schiaccianti che abbiamo, ancora di più si deve difendere la autonomia sostanziale della magistratura, che è chiamata a tutelare i diritti di tutti, anche di chi è ai margini, anche prendendo decisioni contrarie ai desideri delle maggioranze di turno.

Si può dire che la campagna denigratoria di cui fu vittima Apostolico testimonia un certo fastidio da parte delle forze politiche di maggioranza verso la magistratura? 
Non c’è dubbio che, non solo in Italia, sono sotto attacco la libera stampa, gli intellettuali critici ed in generale le istituzioni di garanzia, fra tutte la magistratura. Si tratta di un tratto tipico del populismo in cui i governanti pretendono di fondare la loro legittimazione nella immedesimazione con i cittadini. Mentre nelle democrazie liberali, quanto più forti sono le maggioranze, tanto più incisivi devono essere i sistemi che le limitano e controllano. In Italia, invece, si vorrebbe una sorta di dittatura della maggioranza, in cui il suffragio popolare consenta di passare sopra le regole e le garanzie.

Il governo, e più in generale la destra, fa ampio uso del termine «garantista». Però i provvedimenti che ha adottato sembrano per lo più volti a punire severamente le fasce più deboli, mentre per quelle più forti è come se venisse attuata una sorta di tutela, pensiamo all’abolizione dell’abuso d’ufficio, ad esempio. A partire da questo, sarebbe favorevole a misure di amnistia e di indulto?
Una delle peggiori conseguenze della epoca berlusconiana è l’espropriazione della parola garantista. Dall’essere la battaglia per difendere i diritti dei cittadini più deboli è diventata la scusa per l’impunità dei colletti bianchi. Il sovraffollamento carcerario è una vergogna nazionale, non consente il trattamento individuale dei detenuti, non permette la tutela della salute, aggiunge un’afflizione ulteriore alla pena. I suicidi, le rivolte e i maltrattamenti sono solo la punta dell’iceberg. Ci vuole tempo per costruire carceri più moderni ma invece serve agire subito per ridurre la popolazione carceraria in modo da rendere umana la detenzione. Lo sa che gran parte dei detenuti sconta pene per reati legati alla droga? Basterebbe legalizzare le sostanze stupefacenti leggere: le carceri sarebbero meno affollate, i giudici si occuperebbero finalmente di processi seri come quelli di corruzione o evasione fiscale e soprattutto le mafie perderebbero la loro fonte di guadagno.

Magistratura democratica sostiene che i suoi rapporti con Area siano «risolti» e che comunque avete delle affinità culturali tra di voi. Quale sarà il rapporto tra Area e Md in questo congresso?
Non è il momento delle beghe interne. Tutti i magistrati italiani hanno il dovere civico di essere uniti per testimoniare insieme il pericolo delle riforme annunciate, che rischiano di alterare l’equilibrio fra i poteri dello Stato e depotenziare le istituzioni di garanzia.

La presidente di Md Silvia Albano ha detto al manifesto che Magistratura indipendente sembra voler «pregiudizialmente precludere che magistrati di un orientamento culturale ritenuto non omogeneo possano accedere a incarichi dirigenziali». Cosa ne pensa?
Mi spiace questa ossessione per le nomine. Per noi di Area il tema va ridimensionato. Dobbiamo ridurre il peso dei dirigenti giudiziari e stimolare modelli di gestione condivisa degli uffici. Proprio in questa ottica Area ha organizzato seminari ed ha preparato un documento che contiene molte proposte per promuovere una organizzazione orizzontale e non verticistica dei tribunali in modo da depotenziare la figura del dirigente e la caccia al posto direttivo. Dobbiamo debellare il virus della carriera che ha purtroppo ha contagiato i magistrati italiani, che per la Costituzione sono tutti uguali a prescindere dal ruolo svolto. In questo modo, le singole correnti dei magistrati tornerebbero a fare politica del diritto piuttosto che occuparsi di nomine. Il Csm deve essere un attore della politica sulla giustizia mentre si sta riducendo ad un nominificio. Mi spiace che il vice presidente Pinelli, sempre molto acuto, non abbia colto il punto. Non si rende conto che esprimendo il suo voto in materia di nomine concorre ad enfatizzare questo aspetto mentre dovrebbe occuparsi di più dei pareri sulle leggi di riforma o delle norme che garantiscono la indipendenza interna dei magistrati o di quelle che valutano l’efficienza e la qualità del lavoro dei singoli e degli uffici.