Un legame profondo, di amicizia personale e di condivisione di valori politici, ha legato per più di cinquant’anni Gabriel García Márquez e Fidel Castro. Un legame che ha implicato una adesione alla rivoluzione cubana, ovvero all’impronta che Fidel ha dato alla storia dell’isola caraibica, e che ha trasceso le critiche, i cambiamenti delle varie fasi politiche e anche – forse la più difficile prova del profondo legame- il naturale passare del tempo, una quotidianità che implacabilmente ha corroso l’utopia.

La sua ammirazione per Fidel traspare in interviste, articoli, e discorsi pubblici che Gabo scrisse e rilasciò fin dal 1959, anno della vittoria dei “barbudos” rivoluzionari, per risaltare «l’intelligenza politica» del lider maximo, il suo «istinto» che gli permetteva di essere sempre nel cuore dei fatti, e la sua «curiosità infinita» che lo trovava sempre pronto a ritagliare una fetta del suo tempo, anche e soprattutto a notte fonda, «per leggere, ascoltare, imparare».

Un legame ampiamente ricambiato, perché Fidel volle accanto a sé lo scrittore in innumervoli occasioni, in attività politiche e culturali, ma anche in azioni simboliche, come nel 1996, quando Castro, dopo quasi vent’anni di assenza, ritornò a visitare la sua casa natia, a Birán, nell’Est dell’isola, accompagnato appunto dal premio Nobel per la letteratura e da sua moglie. Le terre del padre di Fidel furono, per sua decisione, oggetto della riforma agraria decretata dalla Rivoluzione. Una folla di contadini emozionati ricordò l’evento. Márquez accompagnò Fidel anche in occasione della storica messa celebrata nel 1988 all’Avana da papa Giovanni Paolo II nella piazza della Rivoluzione. Lo scrittore fu all’Avana nel 2006 e celebrò gli 80 anni di Fidel quando il lider maximo era gravemente infermo – a Miami lo avevano già dato per morto – e vi ritornò, assieme alla moglie Mercedes Barcha, due anni dopo. In piena convalescenza, dopo aver delegato tutto il potere al fratello Raúl, il maggiore dei Castro affermò che quelle trascorse con Gabo erano state «le ore più gradevoli» di quel periodo.

L’amicizia comprendeva anche una fiducia e una collaborazione che fece sì che lo scrittore fu autore di vere e proprie “incursioni” nella politica estera di Cuba. Nel 2005, lo stesso Fidel rivelò che nel 1998 affidò all’amico una missione di grande importanza. Un messaggio da portare all’allora presidente Bill Clinton, nel quale il leader cubano metteva in guardia Washington su possibili atti terroristici contro Cuba. Grazie a questa mediazione il presidente Usa acconsentì allo svolgimento di una riunione all’Avana alla quale parteciparono esponenti del Dipartimento di Stato e dell’Fbi. In questa occasione, i cubani presentarono prove concrete di attività terroristiche attuate a Cuba (in una di queste nel 1996 fu ucciso l’italiano Fabio di Celmo). Ma pochi mesi dopo – nel settembre del 1998- l’Fbi arrestò cinque degli agenti cubani che avevano raccolto tali prove i quali furono condannati a pesantissime pene per spionaggio dopo una serie di processi di dubbia legalità e di chiaro stampo politico. Tre di questi patrioti sono ancora in carcere negli Usa.

Quando nel 2004 Cuba e Colombia ristabilirono relazioni diplomatiche, le autorità di Bogotà definirono lo scrittore come il loro «ambasciatore di fatto». E probabilmente grazie a questa sua qualifica Márquez partecipò assieme ad esponenti del governo colombiano a colloqui con delegati dell’Esercito di liberazione nazionale colombiano (Eln) nell’ambito di un dialogo esploratorio per iniziare un processo di pace in Colombia. Processo che prosegue in questi giorni all’Avana avendo questa volta come protagonista le Farc colombiane.

Tali “incursioni” e collaborazioni politiche nascevano da una profonda fiducia che Fidel riponeneva nell’amico anche grazie a innumerevoli occasioni nelle quali Gabo aveva difeso il lider e la rivoluzione cubana a scapito anche di forti attacchi personali. La lealtà nei confronti di Cuba pose infatti Gabo al centro di forti polemiche politico-letterarie o politiche tout court. All’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, il poeta e diplomatico cubano Heberto Padilla fu posto agli arresti per «attività controrivoluzionarie» e costretto a una ritrattazione pubblica delle critiche fatte al vertice cubano. Nacque a livello internazionale il “caso Padilla” che causò polemiche e spaccature anche, e soprattutto, tra intellettuali e scrittori progressisti. Il peruviano Mario Vargas Llosa fu uno dei più duri, rompendo con Castro e con Cuba. In questa occasione il Nobel per la letteratura rimase a fianco di Fidel, sfidando gli insulti dello scrittore peruviano –che lo definì «un cortigiano di Castro» – e le critiche della scrittrice americana Susan Sontag che lo accusò – anche in seguito- di «passività nelle difesa dei diritti umani».

 

Probabilmente questa posizione di Gabo costituì il cemento di un legame profondo con Fidel che permise al premio Nobel interventi in favore di scrittori –come nel caso di Norberto Fuentes che nel 1994 poté uscire da Cuba grazie alla «miracolosa mediazione» di Gabo- e di altri prigionieri di coscienza. Proprio la sua comprovata lealtà alla rivoluzione cubana permise a Márquez di esprimere la propria opposizione alla pena di morte inflitta a tre cubani che avevano tentato un dirottamento di un traghetto all’Avana nel 2003 e di intervenire a favore di alcuni dissidenti nel corso dell’ondata repressiva seguita al dirottamento.

L’impronta, per non dire l’”eredità”, più importante che Gabo lascia a Cuba è legata però al cinema, sua grande passione dopo la letteratura e il giornalismo. Nell’isola infatti ha fondato la Scuola internazionale di Cine e televisione (Eictv) oltre ad aver dato vita nel 1985 alla Fondazione del Nuovo cinema latinoamericano (Fncl), con lo scopo di «unificare e sviluppare il nuovo cinema latinoamericano».