Dobbiamo crederci? Lo scetticismo è d’obbligo dopo aver assistito per anni, dal 2007 in poi, a strette di mano e ad accordi di riconcilizione tra Fatah e Hamas puntualmente rimasti pezzi di carta. E anche l’annuncio fatto ieri dal premier di Hamas, Ismail Haniyeh, della formazione entro qualche settimana di un governo unitario potrebbe rivelarsi l’ennesimo tentativo fallito di una riunificazione nazionale palestinese. Chi sembra crederci o finge di crederci per ragioni di opportunità politica, è proprio Israele, che ieri, peraltro, ha inviato i suoi cacciabombardieri a sganciare missili contro una “cellula terroristica” a nord di Gaza – almeno 4 feriti -, poco dopo l’annuncio dell’accordo Fatah-Hamas fatto dal premier islamista Ismail Haniyeh. Un collegamento tra le due cose non è dimostrabile ma il raid aereo ha inviato un messaggio molto chiaro ai palestinesi. Secondo gli esponenti più radicali del governo israeliano l’accordo raggiunto ieri a Gaza rivelerebbe l’unità dei veri obiettivi dei “terroristi” di Hamas e dei leader di Fatah: la distruzione dello Stato di Israele. E il presidente palestinese Abu Mazen, aggiungono, avrebbe adesso trovato «il proprio posto naturale, nel caldo abbraccio degli assassini di Hamas». Per il premier Netanyahu la pace tra Israele e Olp non può passare per la riconciliazione interna palestinese e con questa motivazione ha prontamente annullato l’incontro tra i negoziatori delle due parti previsto ieri sera. Nelle ore successive erano attese le reazioni dfell’Amministrazione Obama.

Ieri è stata concordata la formazione entro cinque settimane di un governo palestinese di unità nazionale. Abu Mazen inizierà subito le consultazioni per affidare l’incarico di premier. Sei mesi dopo la nascita di questo esecutivo si svolgeranno simultaneamente in Cisgiordania e a Gaza nuove elezioni, legislative e presidenziali. Le intese raggiunte nel corso degli incontri, prevedono anche la riorganizzazione interna dell’Olp, di cui Hamas non fa parte e dove il movimento islamico chiede di entrare con una rappresentanza adeguata alla sua forza politica. Un altro nodo, forse quello più difficile, è il controllo delle forze di sicurezza palestinesi. Abu Mazen vorrebbe lo scioglimento di quelle create da Hamas a Gaza, una possibilità che al momento appare molto remota.

A Gaza, stretta nella morsa dei blocchi asfissianti attuati da Israele ed Egitto, migliaia di persone sono spontaneamente scese in strada a festeggiare dopo l’annuncio dell’accordo. Ma quello che stanno provando a celebrare Abu Mazen e i vertici di Hamas in realtà è un matrimonio di convenienza, dopo anni di separazione e di scontro violento. Il presidente palestinese ha più volte calato la carta della riappacificazione con Hamas per lanciare messaggi a Israele e Stati Uniti. E questo potrebbe essere ancora più vero ora, a pochi giorni dalla scadenza (29 aprile) dei nove mesi di negoziati bilaterali israelo-palestinesi, tanto voluti dal Segretario di stato Usa John Kerry e che non hanno dato alcun risultato concreto per la fine dell’occupazione israeliana e per la piena libertà e indipendenza dei palestinesi. La riconciliazione in questa fase serve anche ad Hamas. Il movimento islamico è completamente isolato dopo il colpo di stato militare in Egitto culminato con l’arresto e la detenzione del presidente e suo alleato Mohammed Morsi. Nel resto della regione, peraltro, si è arrestata la forte ascesa del movimento dei Fratelli Musulmani, sostenuto dal Qatar. I dirigenti di Hamas che appena un anno fa godevano di uno status di fatto di leader di un minuscolo emirato islamico, oggi sono ai margini, tenuti distanza un po’ da tutti nella regione, ad eccezione del Qatar. L’accordo con Fatah e l’Olp perciò per Hamas è un mezzo per uscire dall’isolamento e per recuperare spazi di manovra politica. Per l’analista Hani al Masri «Le due parti hanno fatto i loro calcoli, la riconciliazione però è ben poca cosa sul terreno, può crollare subito, rischia di avere una vita molto breve».