In questi giorni la Regione Lombardia ha presentato a Cgil, Cisl e Uil regionali un testo per un “Patto per il lavoro” legato all’Expo 2015. Si tratta sostanzialmente di un possibile accordo che prende spunto da quanto sottoscritto lo scorso luglio a Milano, un’intesa per mezzo della quale, oltre 300 apprendisti e 18.500 volontari (definizione che significa lavorare praticamente gratis) dovrebbero essere utilizzati per l’Expo non si capisce bene secondo quali modalità. A oggi non si conoscono in realtà, né i numeri effettivi, tantomeno i risultati conseguiti dalla manifestazione tanto pubblicizzata in questi mesi.

La regione Lombardia ora però rilancia chiedendo a Cgil Cisl Uil lombarde un accordo estendibile a tutta la Regione fino a metà 2016. Per Maroni & Company – vale a dire le associazioni imprenditoriali che vedono di buon occhio questo evento, anche in chiave di deregolamentazione delle norme contrattuali – vi è la pretesa di dover aumentare la flessibilità, non solo per chi lavorerà a stretto legame con Expo, ma per tutta la Lombardia.

Infatti la proposta non si limita solamente a coinvolgere le realtà o le imprese che raccoglieranno i benefici dell’Expo, bensì a tutto il territorio lombardo. Non fa niente se attualmente la stragrande maggioranza delle imprese, non solo industriali, non ha ricevuto nessuna commessa da questo evento e non la riceverà nemmeno nel prosieguo della manifestazione.

Nonostante questo, secondo la Regione Lombardia anche le imprese non coinvolte potrebbero beneficiare indirettamente di questa fiera mondiale, non tanto dal punto di vista delle opportunità di mercato, ma almeno per rendere ancora più flessibile l’utilizzo della propria manodopera.

La proposta che arriva dal Pirellone punta a modificare radicalmente i vincoli contrattuali per il contratto a termine – come se ce ne fosse ancora bisogno dopo le modifiche della coppia Poletti-Renzi – a rendere gli orari di lavoro adattabili alle esigenze di flessibilità dell’evento, e a declinare una flessibilità mansionaria e organizzativa.

Nella sostanza si dovrebbe lavorare in modo totalmente flessibile, dall’orario di lavoro al tipo di contratto di assunzione, evitando che nessun contratto collettivo nazionale e nessuna norma di legge possa garantire qualche modesto diritto a chi lavora.

Expo inoltre dovrebbe avere a disposizione anche un nuovo tipo di apprendistato, definito «mini-apprendistato», della durata di 7 mesi, dove «mini» risulterebbe non solo la retribuzione, ma anche la formazione e il diritto di essere confermato definitivamente. Tutto talmente «mini» che non si capisce perché chiamarlo apprendistato e non «periodo ridotto di lavoro sgravato dagli oneri contributivi per le imprese».

Naturalmente non viene tralasciato il diritto di sciopero durante tutto l’evento. Dovrebbe essere contemplato tuttavia uno sciopero versione light, che eviti di mettere a rischio l’immagine del Paese.

Una preoccupazione seria, altroché. Senonché a oggi in pochi si sono preoccupati del fatto che arresti e malaffare legati all’Expo abbiano trasmesso un’immagine davvero negativa di come si è proceduto con gare, appalti e rapporti poco trasparenti tra politica e imprese.

Ecco perché la proposta si configura come inaccettabile, non solo per chi lavora ma per chi è seduto al tavolo di trattativa. A meno che la logica di chi ha questa responsabilità sia quella di riprendere qualche punto decimale di occupazione solamente per qualche mese, al fine di dare un giro di vite e diminuire ancora le tutele e i diritti.

Di certo, se così fosse, questo evento darebbe davvero l’idea che nemmeno quando si è in presenza di investimenti e di possibilità di sviluppo per le imprese, ci possa essere la possibilità di contrattare e definire condizioni migliori, accettabili per chi lavora. Infatti questa vicenda non parla solo di deroghe alle norme e ai contratti, ma rappresenta un elemento di prova anche per le imprese, affinché si accetti il fatto – in caso di eventi di questo genere – che il sindacato contratti tutta la flessibilità possibile senza alcun risultato da consolidare.

Si parte dalla Lombardia, come spesso è avvenuto in questi anni, ma il campo di gioco è quello nazionale.

*Segretario generale Fiom Cgil Lombardia