È scontro aperto tra Eurocamera e Commissione Ue. Pietra dello scandalo, l’Ungheria di Viktor Orban, messa sotto accusa da Bruxelles per le violazioni dello stato di diritto, ma al tempo stesso “graziata” sul versante del sostegno economico, nel nome del pragmatismo politico. Una contraddizione che ora esplode, dando vita al cortocircuito istituzionale.
La commissione Affari legali (Juri) dell’Eurocamera ha deciso di portare di fronte alla Corte di Giustizia Ue la Commissione europea, che lo scorso dicembre aveva sbloccato 10,2 miliardi di euro in fondi di coesione al governo di Budapest, precedentemente trattenuti per il mancato rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto in Ungheria. La decisione della commissione Juri è stata presa nel corso di una riunione svoltasi lunedì sera a porte chiuse. Domani invece, toccherà alla presidente del Parlamento Roberta Metsola, nell’assemblea dei capigruppo in agenda durante la sessione plenaria di Strasburgo, seguire la raccomandazione degli eurodeputati e annunciare formalmente il ricorso contro la decisione della Commissione Ue entro il termine del 25 marzo, stabilito dalla Corte.

La concessione finanziaria dell’esecutivo comunitario a Budapest era arrivata alla vigilia del Consiglio europeo di dicembre che avrebbe dato via libera politico ai negoziati di accesso per l’adesione di Ucraina e Moldavia e di cui proprio ieri la Commissione Ue ha presentato le bozze al Consiglio. All’avvio di quei negoziati il governo ungherese di Viktor Orban si opponeva da tempo, salvo poi cambiare idea nel giro di poche settimane. Formalmente, lo sblocco dei fondi da parte della presidente della Commissione Ue lo scorso 13 dicembre era motivata dai progressi ungheresi in merito allo stato di diritto. «Non si trattava una valutazione accurata delle riforme in Ungheria, bensì un atto di estorsione per conto di Orban» secondo il deputato tedesco dei Verdi Sergey Lagodinsky, membro della commissione Juri che ha avanzato la richiesta di ricorso.

A stretto giro arriva la replica del diretto interessato, ovvero la Commissione Ue. Un portavoce del Berlaymont ha ricordato come «l’Ungheria aveva presentato tutte le prove richieste dalla Commissione per dimostrare l’indipendenza del suo sistema giudiziario. Avevamo quindi l’obbligo giuridico di adottare la decisione». È per questo che «la Commissione ritiene di aver agito nel pieno rispetto del diritto dell’Unione e difenderà la decisione davanti ai tribunali Ue».

Ad unirsi nella richiesta di censura nei confronti dell’esecutivo Von der Leyen avanzata da deputati verdi, socialdemocratici, della sinistra e liberali, sono gli esponenti del Ppe, partito di maggioranza relativa che esprime in Metsola il vertice dell’Eurocamera ma a cui appartiene soprattutto la stessa presidente della Commissione Von der Leyen. Un segno di insofferenza da non sottovalutare, se solo si pensa che la scorsa settimana il congresso Ppe di Bucarest ha dato il via libera alla ricandidatura dell’esponente Cdu tedesca per un secondo mandato a Bruxelles. Ma il sostegno, a conti fatti, è arrivato da poco più della metà dei delegati.