L’ultimo trauma, al giornale online Linkiesta.it, è stato il licenziamento della star di Twitter Fabrizio Goria. Oltre che a lui, il direttore Marco Alfieri e i membri del cda hanno indicato la porta ad un altro paio di redattori, dopo le dimissioni spontanee di Paolo Stefanini e Antonio Vanuzzo, due giornalisti che c’erano dal giorno in cui Jacopo Tondelli aveva fondato la testata, nel gennaio del 2011.

Con le ultime uscite, spontanee o forzate, il conto è azzerato: tra i giornalisti fondatori non è rimasto più nessuno, visto che poco più di un anno fa, dopo il licenziamento del condirettore Massimiliano Gallo, si era dimesso il direttore Tondelli, e con lui gli altri giornalisti co-fondatori Jacopo Barigazzi, Lorenzo Dilena e Michele Fusco. Licenziamenti e dimissioni che, al di là dell’addotta crisi economica e dei conti da risanare, erano stati interpretati da molti come un segnale di normalizzazione, dato l’attivismo politico montiano e/o renziano dei membri del cda, arrivato per di più a pochi giorni dalle elezioni del 2013.
Del resto, pare che il direttore Alfieri e il manager Davide Meretti che con lui guida la società sogni un giornale con pochi giornalisti (e senza contratti giornalistici), e molti “smanettoni” e partite Iva. E proprio su questo si discuteva nelle scorse settimane al sindacato.

La continuità, allora e oggi, è però assicurata dai soci e amministratori della prima ora, che sono tutti ben in sella. Parliamo dell’ex presidente dei giovani industriali Anna Maria Artoni, del finanziere Guido Roberto Vitale e del suo commercialista e socio Andrea Tavecchio, dell’imprenditore Marco Pescarmona, dell’avvocato d’affari Fabio Coppola, genero del banchiere Bazoli, di un manager in pensione come Alfredo Scotti, del giuslavorista e amministratore delegato dello studio Erede Marcello Giustiniani, e di Pietro Fuoruzzi, storico avvocato del finanziere e supporter di Renzi Davide Serra. Proprio alcuni articoli critici nei riguardi di quest’ultimo non erano piaciuti alla dirigenza. Un anno di licenziamenti per ragioni economiche, e però il piatto piange.

L’ultimo bilancio, quello del 2013, segna infatti una perdita di circa 1,8 milioni di euro, e pensare che il licenziamento di Gallo era stato motivato un anno fa con la necessità di abbattere i costi, e l’uscita dall’azienda di Tondelli e degli altri – che alle ragioni addotte dagli amministratori evidentemente non avevano creduto – aveva sicuramente contribuito ad alleggerire il conto. E invece i conti sono peggiorati sensibilmente rispetto al passato, e oggi a Linkiesta si cercano nuovi finanziatori.

Stando a quanto riportato giorni fa da Milano Finanza, il cavaliere bianco è un finanziere, Roberto Lombardi. Con un altro finanziere, Luca Orsini, sarebbe pronto a mettere 700 mila euro e in cambio, comprensibilmente, vorrà poter dire la sua sulla linea editoriale del giornale. Un giornale nato con l’aria altera della «prima public company» dell’editoria italiana, e col sogno di dimostrare che era internet il luogo in cui l’informazione indipendente e liberal poteva finalmente trovare casa in Italia. E invece, inseguendo in rete le tracce delle burrascose vicende de Linkiesta.it, si leggono storie di epurazioni, di finanzieri che cercano sponde in politica, di editori che premono sulla linea editoriale e di conti in profondo rosso scaricati sui lavoratori. Dove sia la novità, per un giornale della borghesia italiana, resta effettivamente un mistero.