Dopo la soddisfazione di Legambiente e Wwf, il positivo commento della Lipu e il silenzio-assenso di Greenpeace certificano una volta di più che il “Testo unificato sui delitti ambientali”, approvato a Montecitorio e atteso ora all’esame finale del Senato, è un gran passo avanti nella lotta alla criminalità ambientale. Il provvedimento è stato approvato dai deputati con una larghissima maggioranza che ha visto fianco a fianco Sel, Pd, 5 Stelle e anche centristi, Ncd e Fdi: in 386 hanno dato il via libera, con soli quattro voti contrari e 45 astensioni da Lega Nord e Forza Italia. Di tempo peraltro ce n’è voluto parecchio, visto che risale all’ormai lontano 1998 la prima proposta di introduzione nel codice penale dei “Delitti contro l’ambiente” e delle “Disposizioni sostanziali e processuali contro il fenomeno criminale dell’ecomafia”. Richieste fatte all’epoca dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle connesse attività illecite. Ottimi propositi, che hanno dovuto aspettare 16 anni (ben quattro legislature) prima di arrivare a una vera legge di riforma organica, che di fatto inserirà nel codice penale il titolo “Dei delitti contro l’ambiente”.

Per capire la portata del provvedimento, basta pensare che per comportamenti anche gravissimi ai danni dell’ambiente e della salute, oggi sono previste sanzioni poco più pesanti di una multa automobilistica. Manna dal cielo per le ecomafie e la filiera del cemento selvaggio, ma anche per molte industrie le cui produzioni assommano effetti collaterali devastanti per l’ecosistema. Sia Legambiente che Wwf auspicano ulteriori miglioramenti a Palazzo Madama. Ben conoscendo la potenza di fuoco, economica e non solo, di cui possono disporre i loro avversari.

In sintesi, il pacchetto di norme prevede quattro nuovi reati, tra cui il disastro ambientale e il traffico di materiale radioattivo, e contempla la confisca del profitto del reato, aggravanti per attività mafiose e reati associativi, sconti di pena per chi si ravvede, la condanna al ripristino dei luoghi e il raddoppio dei tempi di prescrizione. Con il disastro ambientale si condanna da 5 a 15 anni chi altera gravemente o irreversibilmente l’ecosistema o compromette la pubblica incolumità. L’inquinamento ambientale prevede la reclusione da 2 a 6 anni (e una multa fino a 100mila euro) per chi deteriora la biodiversità, l’ecosistema e lo stato di suolo, acqua e aria. Ma attenzione: se i delitti vengono considerati dal giudice colposi e non dolosi – qualificazione sempre molto difficile – le pene possono ridursi da un terzo fino alla metà. Ci sono invece aggravanti se i reati vengono commessi in aree vincolate o ai danni di specie protette.

Per traffico e abbandono di materiale di alta radioattività c’è la reclusione da 2 a 6 anni, mentre chi ostacola i controlli ambientali rischia da 6 mesi a 3 anni. Quanto agli sconti di pena, c’è una riduzione fino a due terzi se gli imputati di turno collaborano con le procure e bonificano i luoghi inquinati. In caso di condanna o patteggiamento è sempre ordinata la confisca dei beni prodotto o profitto del reato, con il ripristino dei luoghi. Mentre nelle ipotesi “contravvenzionali”, quelle più lievi, si punterà a regolarizzare la situazione, con specifiche prescrizioni che, una volta adottate, possono estinguere il reato. Infine, in presenza di “reati spia” contro l’ambiente, il pm che indaga dovrà sempre avvertire la procura antimafia.

“Si tratta di un passaggio importantissimo”, commenta Andrea Orlando nella doppia veste di attuale Guardasigilli ed ex ministro dell’ambiente. Mentre Ermete Realacci del Pd, che nel 1998 guidava Legambiente, parla a buon diritto di “risultato storico”. Non dimenticando di ricordare, insieme alla sua, anche le parallele proposte di legge di Serena Pellegrino di Sel e del pentastellato Salvatore Micillo. Come dire che l’unione ha fatto la forza. Unico neo, osserva il M5S, la mancata introduzione del reato di “contaminazione da ogm”. Anche se nel Testo unificato il reato di inquinamento ambientale viene esteso anche a chi “compromette la biodiversità agraria”.