Oltre la giustizia climatica. Verso un’ecologia della rivoluzione di Jason Moore (ombre corte pp.166, euro 14) è l’ultimo tassello di una ricerca rilevante nel dibattito sull’ecologia politica che nell’ultimo ventennio ha conosciuto capolavori. Moore ne ha scritti alcuni: Ecologia-mondo e crisi del capitalismo e Antropocene o Capitalocene, editi da ombre corte. Storico dell’ambiente e sociologo all’università di Binghamton negli Stati Uniti, Moore fa parte della rete di ricerca sull’ecologia-mondo e ha sviluppato un’originale interpretazione del marxismo inteso come riflessione critica sul capitalismo e sul suo rapporto strutturale con la crisi ecologica.

IL SUO LAVORO si confronta con l’ecosocialista Michael Löwy, il marxista Kohei Saito, il neo-leninista Andreas Malm e l’eco-femminista Maria Mies. Una pluralità di posizioni in cui la prospettiva comunista si confronta con quella femminista, ecologista, antirazzista nel comune intento di trovare una politica che sappia rispondere, in maniera efficace, alla violenta offensiva reazionaria in corso.
La dialettica è la sfida filosofica di Moore. Il suo riferimento a Marx, e in particolare all’Ideologia tedesca e ai Grundrisse, è continuo. Non è un ortodosso, Moore. Al contrario è un innovatore del rapporto tra la dialettica e la natura sulla scia di altri eco-marxisti statunitensi: James O’Connor e John Bellamy Foster. Per Moore l’«approccio materialista dialettico» oggi è necessario per fermare la «fuga dalla storia» coltivata dalla cultura dominante che spinge all’accomodamento al «tardo capitalismo» e suoi gestori planetari. La sua critica non ripropone teleologismi, ontologie «sociali» e filosofie della storia e del lavoro, teorie del «significante vuoto» o del «performativo» linguistico che stanno alla base del «momento populista». Il marxismo, osserva l’autore, non è una filosofia della storia, ma una politica della tendenza. È una differenza enorme che sgancia Marx da Hegel, il marxismo dall’ontologia, stravolge i luoghi comuni delle letture conservatrici e neoliberali.
Contro il «frazionismo» epistemologico che divide la critica del capitalismo da quella del patriarcato o del razzismo, Moore usa la dialettica per coagulare una nuova unità politica a partire da un’idea di classe intesa come unità nelle differenze. Il suo problema è etico-pratico: come si crea tale unità politica? Moore trova una risposta a partire dall’idea di «ecologia-mondo». Questa categoria è già basata su una sintesi tra la critica del capitalismo, dell’imperialismo, del dominio razzista, sessista, nazionalista con la politica della liberazione e della lotta di classe.

DAL PUNTO DI VISTA POLITICO, la sintesi resta tutta da costruire. Moore le dà un nome: strategia socialista internazionalista della giustizia planetaria. Questa strategia collega la giustizia economica con quella sociale, quella climatica con quella riproduttiva. L’obiettivo è formare un’alleanza sociale e politica per la giustizia di classe, la fine delle guerre imperialistiche, l’abolizione del razzismo e la rivoluzione ecologica.
Possiamo ora comprendere meglio la spietata critica di Moore al racconto apocalittico dell’Antropocene. In questa formula che oggi condisce mille salse diverse Moore critica la separazione della questione ecologica da quella dell’imperialismo, la critica del capitalismo dal suo strutturale rapporto con la natura e l’emergenza climatica.
L’autore preferisce parlare di «Capitalocene», formula criticata da Donna Haraway perché è il riflesso di un altro monoteismo secolarizzato. Sebbene Moore la spieghi in termini materialistici, nella sua categoria resta un problema teleologico. Troppo ampio è l’arco temporale, il rischio è confondere il capitalismo storico con quello eterno. Così come non è convincente l’idea per cui siamo arrivati a una crisi ultimativa del capitalismo. Altre forze politiche di segno opposto a quelle auspicate da Moore sarebbero ben più attrezzate a gestirla.

PER MOORE, invece, «Capitalocene» spiega la crisi ecologica come l’esito di una trasformazione del capitalismo e del suo rapporto con il mondo iniziata dal 1492 con la colonizzazione del continente americano da parte del capitalismo europeo. L’ontologia a sfondo geologico alla quale allude l’Antropocene è rovesciata marxianamente in una «geostoria» del capitalismo e della lotta di classe nel «Capitalocene».
Questa indicazione è rilevante perlomeno a livello culturale. Al neoliberalismo basato su profezie apocalittiche si risponde con la critica al suo ruolo nella normalizzazione del conflitto. Come crearlo, e dove possa andare questo conflitto, oggi non è chiaro. Veniamo da mezzo secolo di contro-rivoluzione, non è facile recuperare l’iniziativa. Figuriamoci in tempi di guerre, autoritarismi, censure. La dialettica è senza rete: ti mette davanti al problema e alla necessità di trovare soluzioni creatrici.