Allo sbaraglio sì, ma fino a un certo punto. La sortita di Berlusconi contro la sentenza «mostruosa» a suo carico è più calibrata di quanto non appaia. L’ex cavaliere non parlava a braccio ma in una registrazione, vagliata dai suoi legali prima della messa in onda. Ghedini ritiene che le parole del capo rientrino nel «diritto di critica» che non si può negare a nessuno, neppure a un condannato. Tanto più che il ricorso a Strasburgo è ancora in campo, e come si può ricorrere alla Corte europea senza considerarsi vittima di un’ingiustizia?

Ma per quanto le parole dell’Interdetto siano pesate con cura, nel partito l’inquietudine è forte. C’è chi teme, se non la revoca dell’affidamento ai servizi sociali, almeno un monito della procura di Milano che inaugurerebbe una serie di botta e risposta sempre più acuminate. A quel punto, sarebbe davvero altissimo il rischio di superare il labile confine che separa il ghediniano «diritto d’opinione» dall’«attacco diretto» proibito dal Tribunale. Ecco perché, nelle file azzurre, c’è chi paventa un esito disastroso: «Qui finisce che prima delle elezioni lo arrestano».

L’intemerata era stata sconsigliata proprio da chi trova di solito più ascolto presso Berlusconi: i nomi di spicco del magico cerchio, Giovanni Toti e Maria Rosaria Rossi. Stavolta il ruggente non li ha ascoltati, ha fatto di testa sua e probabilmente non avrebbe potuto comportarsi diversamente. Il dilemma di Silvio è secco: se tace e china la testa evita la minaccia degli arresti,ma rischia forte di condannare il suo partito alla sconfitta in quella che, dal suo punto di vista, è la vera sfida centrale delle prossime elezioni: il confronto tra la sua Fi e l’Ncd di Angelino l’ex delfino.

I sondaggi sono di settimana in settimana più impietosi: Fi sta ufficialmente sotto il 20% ma circolano anche pronostici ancora più infausti, sotto il 18% e passa. Gli scissionisti di Alfano, invece, galoppano. Negli ultimi sondaggi raggiungono addirittura il 6,4%.

Nessuno sa meglio di Berlusconi cosa vorrebbe dire un risultato del genere. Nei ranghi di entrambi i partiti sono moltissimi, al centro e più ancora nei territori,quelli che aspettano solo il responso delle urne per capire dove tira il vento e posizionarsi di conseguenza. Berlusconi è dunque costretto a forzare la mano per provare a evitare la rotta: da un lato rilanciando l’immagine elettoralmente lucrosa del perseguitato, dall’altro prendendo di mira Renzi per colpire Alfano.

Il vero obiettivo degli attacchi al governo di ieri, infatti, era proprio l’Ncd, accusato di spalleggiare un governo di sinistra e una politica economica fatta di tasse travestite. Alfano, anche con le sparate a favore della polizia sempre e comunque, mira a imporre l’immagine di una destra «normalizzata», non più populista ma sempre pronta a usare il pugno duro: quel miraggio di una destra gollista che aveva già inseguito invano Gianfranco Fini.

Berlusconi deve invece riuscire a dipingerlo come un portatore d’acqua della sinistra e come un complice della persecuzione ai danni del solo vero leader della destra italiana, cioè lui stesso.
Non a caso sono proprio gli alfaniani a rispondere con maggior decisione alle critiche contro Renzi, con Schifani che «dissente» dall’ex capo: «Grazie a noi sta riuscendo un obiettivo che nessun governo di centrodestra era riuscito a praticare: la riduzione delle tasse attraverso il taglio della spesa pubblica».

La partita tra l’ex sovrano e l’ex delfino ereditario si giocherà senza esclusione di colpi di qui al giorno delle elezioni. Ma per spuntarla, Alfano dovrà fare i conti anche con le difficoltà crescenti all’interno del suo nuovo partito. Per tirarsi fuori dal vicolo cieco nel quale si dibatteva appena poche settimane fa, ha dovuto candidare l’ex governatore calabrese Scopelliti, senza il cui bacino elettorale le chance di superare lo sbarramento del 4% sarebbero state esigue. Candidando il signore calabrese dei consensi, Alfano ha però moltiplicato una tensione che era già fortissima per l’egemonia assoluta esercitata dalla delegazione al governo. Alfano ha cercato di rabbonire Quagliariello, furioso per la candidatura Scopelliti, nominandolo d’autorità coordinatore del partito.

Ma a quel punto i malumori si sono coagulati in una minacciosa missiva firmata da un gruppo di senatori dissidenti. La lettera, la cui esistenza è ufficialmente negata da tutti, porterebbe in calce dalle 13 alle 16 firme, con nomi pesanti come Formigoni, Naccarato, Compagna e Gentile. La critica: gestione verticista e assenza di democrazia. La minaccia: arrivare dopo le elezioni a una resa dei conti.

Il momento della verità potrebbe arrivare anche prima, perché sullo sfondo del conflitto campeggia un altro nodo: quell’abolizione del senato che molti nell’Ncd non intendono accettare.