Carri addobbati come a carnevale, musica di tutti i tipi, dal reggae alla techno, che pompa dalle casse, danze e cartelli. Ieri a Roma è andata in scena la festa degli antiproibizionisti, aspettando la sentenza della Corte costituzionale che il prossimo 11 febbraio potrebbe rendere la legge sulle droghe Fini-Giovanardi solo un incubo del passato. Trentamila persone in piazza per dire che «Illegale è la legge», e non i consumatori di sostanze stupefacenti. Che la guerra alla droga ha perso in tutto il mondo, dopo aver rafforzato il narcotraffico e criminalizzato consumatori e sostanze, ed è ora di voltare finalmente pagina.

Tra i primi striscioni a qualche centinaia di metri dal primo tir carico di decibel, quello della Comunità di San Benedetto al Porto, che in nome di Don Gallo continua il suo lavoro quotidiano di riduzione del danno e sulle tossicodipendenze, e che il 28 febbraio e il 1 marzo ospiterà un’incontro nazionale proprio sulle politiche in tema di droghe. «Dopo parecchio tempo – spiega Megu della Comunità genovese – torniamo ad incontrarci in tanti e diversi, per fare un dibattito scientificamente serio sulle droghe e non gli slogan ideologici che hanno dettato fino a qua i provvedimenti legislativi. Sarà un confronto amplissimo tra associazioni grandi e piccole, centri sociali e operatori, che invitiamo a venire per stilare la Carta di Genova. Intanto oggi siamo qua per conquistare subito una nuova legge sulla droga in Italia, cancellando la Fini-Giovanardi senza tornare alla legge precedente, e per chiedere lo smantellamento del Dipartimento nazionale politiche antidroghe del dottor Serpelloni che tanti danni ha prodotto in questi anni».

Poco più in là migliaia di giovanissimi che ballano. Una generazione cresciuta assieme all’applicazione della Fini-Giovanardi, consumatori criminalizzati da una legge draconiana. «Oggi è anche una festa e un momento per divertirsi – ci dice una ragazza di 19 anni arrivata dall’hinterland della Capitale – ma siamo venuti qui anche perché è assurdo che rischiamo di finire in galera perché usiamo delle sostanze stupefacenti. Noi come milioni di persone insospettabili, professori, avvocati e politici, che però non hanno il coraggio di dirlo». Marco invece è un po’ più grande, cappello da baseball ben calcato sulla testa e le idee chiare: «Sono qua perché c’è tanta ipocrisia, da destra a sinistra. Dicono di voler combattere la mafia, ma poi non permettano di coltivare l’erba o di poter acquistare legalmente e in maniera controllata sostanze stupefacenti».

Claudia Luttazi cammina con una collana fatta di fiori e di contenitori vuoti di cannabis ad uso terapeutico che gli fornisce la Asl. Da anni combatte contro il cancro, è la mamma di due bambini e prima di stare male non si occupava certo di antiproibizionismo, al massimo qualche tiro di canna con gli amici da ragazza. Poi la battaglia contro il tumore e la scoperta della cannabis come terapia integrativa: «Sono qui per reclamare il diritto alla libertà di cura e il diritto alla salute per tutti come sancito dalla nostra Costituzione. Invece in Italia avere accesso alla marijuana ad uso medico è complicatissimo, in più è una spesa a carico del paziente, mentre le terapie convenzionali sono a carico del Ssn». Eppure l’efficacia dell’uso della cannabis come terapia integrativa è ampliamente documentata per molte patologie, dall’Aids alla sclerosi multipla, ma anche per combattere l’anoressia e altri disturbi psicologici e alimentari. Mentre il corteo sfila davanti al ministero della Salute Alessandra Cerioli, presidente nazionale della Lila, spiega le ragioni dell’adesione della sua associazione: «Basta pensare che un detenuto su sette è sieropositivo, e che la maggior parte di queste persone ha un presente o un passato di tossicodipendenza, per capire che la Fini-Giovanardi riempie le carceri di persone malate che dovrebbero avere invece la possibilità di stare fuori e curarsi».

Davanti al carcere di Regina Coeli ogni camion si ferma per un intervento, visto che proprio il sovraffollamento carcerario è uno degli effetti più gravi e macroscopici di 8 anni di applicazione della Fini-Giovanardi. «La battaglia antiproibizionista – spiega Chiara del centro sociale romano Esc – è parte della lotta per l’indulto e l’amnistia. O si blocca l’ingresso in carcere di migliaia di migliaia di persone per piccoli reati legati alle sostanze stupefacenti, o le carceri saranno sempre sovraffollate. La battaglia contro la Fini-Giovanardi non è solo per la libertà personale, ma è anche uno dei capitoli più importanti per riformare finalmente il nostro codice penale».

In piazza c’era anche Daniele Farina, storico portavoce del Leoncavallo di Milano e deputato di Sel, antiproibizionista della prima ora. «Ho visto qualcosa di nuovo nella manifestazione di oggi – spiega Farina – nella maturità degli argomenti e delle ragioni dell’antiproibizionismo che forse è diventato maggioranza nel paese reale. E’ la politica che anche in questo caso è indietro. Dopo la sentenza della Corte costituzionale capiremo come andrà avanti l’iter legislativo per una nuova legge sulle droghe, sperando che i provvedimenti presentati non vengano snaturati e che in Aula ci siano i numeri».