Lo scorso anno, dopo le elezioni regionali, il governatore della Lombardia aveva dichiarato che la nuova giunta avrebbe operato in discontinuità con le cattive pratiche che avevano travolto l’amministrazione precedente, procedendo, tra l’altro, al riequilibrio tra il settore sanitario, premiato negli anni scorsi a dismisura, e il settore sociale, cenerentola triste del sistema. A oltre un anno di distanza, nulla invece sembra cambiato.

Non solo: nell’ultimo anno da piccolo impero crepuscolare, la vecchia giunta aveva aperto, quasi a giustificazione riparativa, degli importanti cantieri sperimentali sui bisogni attuali, con l’intenzione di metterli in seguito a sistema. L’attenzione della nuova giunta al mondo delle dipendenze è invece inesistente su tutti i fronti.

Primo, le sperimentazioni: il mondo del privato sociale ha saputo costruire in questi due anni dei progetti capaci di risposte efficaci su problemi come la cronicità sociale, gli adolescenti a rischio di dipendenza, le unità mobili e i drop-in sulla prossimità e la riduzione del danno. Le istituzioni locali, a partire dal Comune di Milano, e gli organi tecnici della Regione hanno valutato molto positivamente questi progetti, ma le sperimentazioni non possono essere tenute in vita con le flebo del rinvio di mese in mese fino alla inevitabile chiusura. Secondo, il carcere: al 31 dicembre 2013 la Lombardia ospitava 8.756 detenuti, un sesto di tutta la popolazione carceraria, con un numero di persone detenute significativamente superiore alla capienza regolamentare.

La differenza si attesta a quasi tremila unità: un quinto del totale e un quinto, quindi, delle sanzioni previste per trattamento inumano dei detenuti dall’Unione Europea. Eppure, la giunta regionale finora non ha fatto nulla, a differenza di altre Regioni, per costruire progetti e protocolli con il ministero della Giustizia e con le realtà del privato sociale per l’accoglienza esterna dei detenuti in misura alternativa, in particolare per coloro che sono in carcere in violazione della legge sulle droghe (il 38% del totale). La Regione Lombardia è assente nel momento in cui il ministero ha messo a disposizione risorse per affrontare in maniera significativa il virus endemico del sovraffollamento e per favorire l’accoglienza delle persone con problemi di tossicodipendenza. Non si tratta solo di una questione umanitaria o di risparmio economico rispetto sanzioni previste dall’Unione Europea, si tratta di sicurezza sociale. Non solo: non c’è nessuna volontà di approvare una legge sulla canapa terapeutica. Infine, le comunità: i servizi residenziali e i servizi ambulatoriali sono il cuore del sistema delle dipendenze che, sia pure con fatica, cerca di rispondere in maniera adeguata alle domande di aiuto in continuo aumento e trasformazione.

La Regione Lombardia, di contro, risponde riducendo i servizi e contraendo le rette reali per le comunità, senza alcun adeguamento neppure nominale da ormai sette anni, esigendo peraltro servizi da alberghi di lusso ai costi di misere locande. Le rette previste dalla Regione Lombardia per le comunità terapeutiche sono ormai al quart’ultimo posto nel panorama nazionale: anche in questo caso, la desertificazione è vicina.

Su questi temi bisognerebbe aprire un confronto efficace, superando la logica degli interventi frammentati, che costano fatiche eccessive senza un punto di partenza, una rotta e un approdo determinati e condivisi. Finora la Regione Lombardia non lo ha fatto, dimostrando di non avere alcuna attenzione nei confronti di un mondo e di problemi che segnano in maniera pesante le persone, le famiglie, la società.

*Responsabile gruppo carcere Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA)