Non si è mai pentito, non ha voluto risarcire le vittime e non ha collaborato con la magistratura. Per questo il Tribunale di sorveglianza di Genova ha negato l’affidamento in prova a Francesco Gratteri, ex numero tre della polizia italiana. Dodici pagine di ordinanza con cui i giudici genovesi sottolineano come Gratteri non abbia fatto nulla di quanto richiesto dal Tribunale, vale a dire una pubblica assunzione di responsabilità e il risarcimento almeno parziale delle vittime. Ma fin dall’udienza dello scorso aprile, quando i vertici della Questura genovese arrivarono a Palazzo di Giustizia a portare solidarietà a lui e agli altri super poliziotti della Diaz, era chiaro che scuse non ce ne sarebbero state.
Gratteri, in particolare, dopo aver saputo del parere contrario all’affidamento della Procura generale, ha depositato un appunto in cui si è limitato a definire la Diaz un «grave incidente che certamente non ho cercato né voluto», seguito da una memoria in cui ha ribadito che la condanna non è per le violenze e sarebbe derivata dal fatto che altri non hanno voluto assumersi le proprie responsabilità. Per i giudici di sorveglianza invece Gratteri è stato responsabile di «gravissimi atteggiamenti di minimizzazione», in particolare quando si presentò alla Commissione parlamentare di indagine (a pochi mesi dal G8), davanti alla quale «lungi dal palesare il proprio rammarico» parlò di «condotta energica» e modalità operative «legittimamente adottate». Posizione che non cambia nemmeno dopo, con un «persistente atteggiamento mentale giustificativo del proprio comportamento antidoveroso». Negando ogni «manifestazione di personale contrizione per il male ad altri arrecato – scrivono i giudici – ma anche insistendo nell’individuare la conseguenza più importante della vicenda nella propria personale mortificazione, Gratteri ha dato prova di non essere disponibile a quel percorso di revisione critica che costituisce elemento portante delle misure alternative alla detenzione».
Anche per quanto riguarda il risarcimento delle vittime, «pur avendone la possibilità in forza dell’ottimo trattamento economico ricevuto» (5.600 euro al mese di pensione e 200 mila euro di liquidazione), «ancora nell’udienza odierna – si legge nell’ordinanza – ha contestato la fonte dell’obbligazione ipotizzando l’inesistenza di un danno derivante dal reato di falso» quando invece la sentenza lo ha esplicitamente condannato a risarcire anche quei danni. La difesa ha poi sottolineato che il condannato Gratteri avrebbe collaborato con gli inquirenti. Non è così dicono i giudici. «Sono note le difficoltà incontrate dagli inquirenti nella ricostruzione dei fatti e nell’identificazione degli operatori di polizia coinvolti» e il fatto che Gratteri abbia «rinunciato ad avvalersi della facoltà di non rispondere» ai pm viene liquidato dai giudici come «atto doveroso» per un alto funzionario di ps. D’altra parte, rincarano la dose i magistrati, ciò che emerge non è la collaborazione, anzi: «L’unica preoccupazione […]era quella di ottenere dai pm la specifica indicazione di elementi di prova […]e/o di convincere gli inquirenti dell’inconsistenza di tali prove». A riprova di questo Gratteri non ha mai voluto rendere dichiarazioni davanti al Tribunale.
I giudici di sorveglianza hanno invece concesso l’affidamento in prova a Pietro Troiani, l’uomo che materialmente introdusse le molotov nella Diaz, sottolineando che «è stato uno dei pochi imputati a fare ammissioni di responsabilità». Troiani, attualmente sospeso dalla polizia (con un assegno alimentare di circa mille euro), dovrà risarcire il Ministero con 4 mila euro. La detenzione domiciliare per Gratteri non sarà troppo dura: l’ordinanza dei giudici genovesi gli consente di uscire di casa per quattro ore al giorno e, per scontare la pena, il prefetto in pensione potrà continuare ad usufruire di un appartamento di lusso in uno dei quartieri più esclusivi di Roma, messo a disposizione dal Ministero dell’Interno e giustificato come «misura di sicurezza» in seguito a presunte minacce subite. Che il Viminale sia particolarmente indulgente con gli uomini della Diaz lo dimostra l’azzeramento del procedimento disciplinare a carico dell’ex capo della Digos genovese Spartaco Mortola: il Ministero, visto che è in corso un disciplinare promosso dalla Procura generale di Genova, a fine novembre ha dichiarato estinto il proprio. C’è una differenza: il disciplinare ministeriale avrebbe potuto portare alla destituzione dei condannati mentre quello della Procura solo a 6 mesi di sospensione. Se, come probabile, così sarà per tutti, chi non è andato in pensione potrà rientrare in servizio.