Gli ottimisti dell’internet, ci avevano raccontato che il cloud computing sarebbe stato il futuro migliore per gestire il nostro mondo in rete: basta hard disk e accessori, tutto sulla nuvola, o sulle tante parti che – ovunque nel mondo – formano i luoghi virtuali all’interno dei quali inserire le nostre informazioni. Ovvero i dati, da quelli più personali a quelli di lavoro, bancari, relativi ad acquisti on line: oggi tutto questo è già reale, attraverso i nostri smartphone, tablet e personal computer. All’epoca ci dissero che non esistevano dubbi circa il punto più controverso, quello relativo alla sicurezza dei nostri dati sulla nuvola.

Come ci si poteva assicurare che non potessero finire nelle mani di sconosciuti o peggio di multinazionali, in grado di utilizzarli per vendere i propri prodotti? Domanda sempre astiosa per gli ottimisti della rete, che credono che su internet il profitto non esista, ma ancora più attuale oggi a seguito dello scandalo Datagate, che in modo lampante ha dimostrato due cose: che la sicurezza dei dati informatici è violata addirittura dai governi che dovrebbero garantirne la protezione e che il sistema cloud fa girare una massa enorme di soldi. E ironia della sorte, proprio la mancanza di sicurezza palesata dal sistema americano, rischia di mandare all’aria una crescita esponenziale di tutta l’industria. I grandi del cloud computing americano stanno perdendo una marea di soldi, grazie alle rivelazioni di Snowden e al pasticcio della Nsa: continue novità circa spiate e controlli non fanno che aumentare lo scetticismo nei confronti della tecnologia americana, che nei prossimi tre anni potrebbe perdere almeno 35 miliardi di dollari di business.

C’è di più naturalmente: ci sono le aziende europee o asiatiche, che prenderanno la palla al balzo pur suggellare sorpassi insperabili senza la bomba Nsa e c’è un continuo fluire verso concetti di sovranità digitale che cambieranno per sempre la geografia mondiale dell’internet.

Procedendo con ordine, al primo posto ci sono i soldi. Alcuni mesi fa le grandi aziende americane avevano fatto quanto sanno fare nel modo migliore. Racchiusi in un ipotetico «don’t be evil» di scuola Google, Apple, Microsoft, Yahoo!, Twitter, Facebook, hanno scritto a Obama per chiedere una regolamentazione delle politiche di controllo della Nsa. Lo hanno fatto – hanno detto – in nome della libertà e della privacy dei cittadini, ma è chiaro che l’elemento che si pone come prioritario è il rischio di un’ingente perdita economica, per mancanza di fiducia dei mercati internazionali. Governi, aziende, amministrazioni e singoli cittadini, hanno ormai il timore di mettersi nelle mani di servizi informatici americani. Secondo un rapporto dell’Information Technology and Innovation Foundation, l’industria americana di cloud computing sarebbe in procinto di perdere tra i 22 e i 35 miliardi di dollari nei prossimi tre anni come risultato delle rivelazioni del Datagate.

Si tratta di un mercato che da qualche anno ha fatto passi avanti da gigante: dei 13, 5 miliardi di dollari di investimenti fatti nell’industria della nuvola nel 2011, 5,6 miliardi arrivano da compagnie nord americane. Gli altri Stati hanno provato a percorrere la stessa strada, ben sapendo che di fronte alla scelta dei leader di mercato, non restava che allinearsi. La Francia ha speso 135 milioni di dollari in investimenti. Il totale dei soldi riservati a questo settore hanno dei picchi imponenti: entro il 2016 l’industria dovrebbe portare ad un giro di affari di circa 207 miliardi di dollari. Un incremento, dal 2012 al 2016, di circa il 100 percento, a fronte di una crescita del mercato digitale molto minore (3 percento).

Jean Francois Audenard, il cloud security advisor di France Telecom, all’interno del report della Itif ha spiegato: «È estremamente importante che i governi europei investano in questo settore, perché pensare che tutti i dati delle aziende finiscano sotto il controllo americano non è auspicabile per le popolazioni europee».

Sulle conseguenze dello scandalo Nsa e il business tecnologico, si è espressa anche Neelie Kroes, la commissaria europea per le questioni digitali: «Se i consumatori europei non si fidano del governo degli Stati Uniti, è probabile che nutrano la stessa sfiducia nei confronti dei servizi di cloud computing gestiti da aziende americane. Se questo è vero, ci sono conseguenze in termini economici piuttosto pesanti per le aziende statunitensi. Se io fossi un dirigente di un’azienda Usa, in questo momento, sarei piuttosto arrabbiata con il mio governo». La perdita statunitense si registrerebbe in modo ancora più drammatico in quelle zone del mondo dove ci sono già investimenti in corso: in Asia, secondo una ricerca pubblicata da The Indipendent, la Cisco ha già perso l’8,75 percento del suo mercato, mentre la Ibm dallo scorso agosto a ottobre avrebbe diminuito le vendite del 15 percento. La Cina è a capo di questa cordata anti Usa: almeno fino a che negli Stati Uniti le sue aziende non incontreranno più barriere politiche e ideologiche.