La Russia continua a portare avanti il suo piano: segmentare l’Ucraina, aumentare le tensioni regionali, impedire che il paese si collochi nell’area di influenza occidentale e negare legittimità ai nuovi poteri di Kiev, la cui figura più carismatica, Yulia Tymoshenko, avrebbe dovuto recarsi ieri a Mosca. La missione, annunciata nei giorni scorsi, s’è rivelata una bufala. D’altronde, nell’ottica russa, il possibile negoziato scacciacrisi con la Tymoshenko, che non ha e né forse avrà cariche, ma in compenso ha piazzato i suoi più fedeli scudieri nei posti chiave (Oleksandr Turchynov è il presidente provvisorio e Arseniy Yatseniuk l’attuale primo ministro), avrebbe significato riconoscere implicitamente le autorità di Kiev.

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La Crimea, l’unica regione ucraina dove i russi costituiscono la maggioranza etnica, resta la pagina principale del copione del Cremlino, che ne ha il controllo pressoché totale sul terreno e cerca, in più, di assorbirne l’economia. Va in questa direzione la decisione con cui il governo russo, presieduto Dmitry Medvedev, ha appena licenziato un decreto che riesuma un vecchio piano: la costruzione di un ponte sullo stretto di Kerch, lingua di mare di cinque chilometri che separa la regione dalla Russia. La struttura costerebbe tre miliardi di dollari, riferisce l’agenzia Ria Novosti, segnalando inoltre che Mosca è pronta a erogare massicci aiuti finanziari.

Ieri sulla Crimea è giunta la notizia di un ultimatum del comando della flotta russa sul Mar Nero, che ormeggia nel porto di Sebastopoli, alle unità militari ucraine dislocate sul territorio della penisola, già di fatto chiuse in gabbia, dati gli sviluppi di questi giorni. A diffonderla è stato il ministero della difesa di Kiev. Tuttavia le autorità russe hanno negato seccamente, definendola senza fondamento. Il botta e risposta conferma che la tensione corre anche sul filo della propaganda. Se Kiev denuncia l’aggressione russa, Mosca sostiene che intende difendere i connazionali di Crimea e dell’Ucraina in generale dai propositi estremisti dei golpisti di Kiev.

Al di là di questo, parrebbe che la Russia non voglia spingere la Crimea sulla strada della secessione, quanto meno non ancora e non prima che Kiev, magari, perda i nervi e forzi dunque allo scontro armato. Indicherebbe questo, d’altro canto, lo stesso quesito referendario che a fine marzo verrà posto ai cittadini della Crimea. Dovranno esprimersi non sull’indipendenza, ma in merito a un grado ancora maggiore di autonomia. L’obiettivo principale, si potrebbe azzardare, è quello di fare della Crimea una sorta di «conflitto congelato», una spina nel fianco dei rivoluzionari di Kiev, così da rivendicare quanto più possibile al tavolo dei negoziati, quando e se verrà attivato. Intanto, però, Putin avrebbe accettato la proposta tedesca di istituire una missione di monitoraggio, sotto l’egida dell’Osce, nella penisola. È il preludio della possibile trattativa?

Se sì, tutto lascerebbe credere che Putin, con un’Europa spiazzata e a un’America che sembra a corto di soluzioni, abbia un potere negoziale forte. Ma non è automatico che il piano tenda a inclinarsi così evidentemente dalla sua parte. Il Cremlino deve fare i conti con la reazione impressionante dei mercati. La crisi ucraina ha scombussolato gli indici della borsa di Mosca, che ieri ha perso più di dieci punti percentuali, con colossi come Sberbank e VTB, prima e seconda banca del paese, che hanno segnato un crollo di quattordici e diciassette punti. Quattordici, all’incirca, sono anche quelli persi da Gazprom, colosso dell’energia.

Pure il rublo ha avuto contraccolpi, raggiungendo il minimo storico sul dollaro e accentuando una tendenza già in atto, a causa della riduzione del programma della Fed sugli stimoli all’economia americana, che ha colpito tutti i paesi emergenti e le loro rispettive valute.

Tutto questo s‘accoppia con la flessione dell’economia nazionale. I consumi interni ristagnano, i capitali tenderebbero alla fuga, il prodotto interno lordo ha registrato un rallentamento nell’anno appena trascorso. Insomma: la strategia ucraina di Putin potrebbe avere dei costi non preventivati. Nel frattempo, sul fronte ucraino, si registrano segnali di irrequietezza anche nelle regioni dell’est e del sud, dove i sentimenti filo-russi sono storicamente manifesti. Sui tetti dei governatorati di Odessa e Kharkhiv sventola il tricolore russo. A Donetsk, la roccaforte elettorale di Yanukovich, gli attivisti anti-Maidan hanno preso d’assalto la sede del governo regionale, auspicando la convocazione di un referendum sulla falsa riga di quello che si terrà in Crimea e rifiutando la recente nomina al vertice dell’esecutivo locale dell’oligarca Sergei Taruta.

Un altro industriale di peso, Igor Kolomoisky, numero uno di PrivatBank, principale istituto di credito del paese, è stato nominato governatore della regione di Dnipropetrovsk. Coinvolgendo gli oligarchi, titolari di asset immensi e tendenzialmente schierati con Yanukovich in questi anni, i nazionalisti di Kiev cercano di appianare le tensioni. Ma la tattica, ora, non sembra premiare.