A Crotone la serie A calcistica si declina alla voce psicodramma. Uno stadio chiamato desiderio, una squadra inchiodata all’ultimo posto a zero punti e lo spettro del sequestro giudiziario del Fc Crotone richiesto dalla direzione distrettuale antimafia.

Tra la rotonda di corso Mazzini e quella infiorata di rosso e di blu di via Cutro sciamano frotte di tifosi in direzione stadio. È un mercoledì uggioso, poco settembrino, quasi autunnale. Non c’è una partita e tra i tifosi non si discute di calcio. In quella speciale tuttologia da strada di cui i meridionali sono maestri, è tutto un vociare concitato su urbanistica, vincoli archeologici, prescrizioni, tornelli, cubature, manufatti. C’è l’agognata ispezione della commissione Coni, si decide sull’agibilità del mitico stadio Ezio Scida di Crotone.

Quel gennaio del ‘46

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È sulla bocca di tutti, sportivi e non, ma pochi conoscono invero l’epica di Scida, un calciatore d’altri tempi, morto in circostanze tragiche settant’anni orsono. Il 17 gennaio del 1946 era in programma la gara amichevole Castrovillari-Crotone. La squadra pitagorica partì di buon mattino con un camion trasformato in pullman, con transenne di legno e bidoni di nafta. Su uno degli ultimi tornanti verso la città del Pollino, l’automezzo sbandò, uscì di strada, per finire la sua corsa mortale in un cunettone. Il fato volle che uno dei bidoni di nafta, scivolando improvvisamente, travolse il malcapitato Ezio Scida. Ogni tentativo di salvarlo risultò vano. Il sindaco e il consiglio comunale a guida comunista decisero di dedicargli il campo sportivo. Il busto raffigurante il giocatore venne posto all’entrata della sede della società. La folta capigliatura e gli occhi che ti fissavano davano l’impressione che il buon Ezio fosse vivo. Una sensazione che si avvertiva in maniera sensibile. Oggi, settant’anni dopo, il nome di Ezio Scida fa di nuovo breccia sui taccuini dei cronisti, di mezza Europa. Il suo nome è associato allo stadio della discordia.

Lo stadio inagibile

Quando nel 1946 venne costruito nessuno immaginava che sotto si celassero i resti dell’antica Kroton. Le prime indagini archeologiche furono svolte solo nel 1981. Nel dopoguerra, come ricorda il giornalista Peppino Messinetti nel suo libro Dalla Marinella a via Cutro (Briefing edizioni, 2009), «L’Ezio Scida era denominato semplicemente “campo sportivo”. Gli ordini dei posti erano due: una tribuna realizzata in legno e il prato dove erano installati dei soppalchi, sorretti da bidoni. La recinzione del rettangolo di gioco era in rete con filo spinato sovrastante. Lo spogliatoio era stato costruito a spese della società Montecatini. Alcuni giocatori erano operai di quella fabbrica». Con la storica promozione in A, settant’anni più tardi, tutto è cambiato. L’Ezio Scida si rivela troppo piccolo con i suoi 9.500 posti. «L’Amministrazione sta lavorando per un ampliamento a 16 mila. Non ci dovrebbero essere impedimenti a giocare la prima partita in Serie A a Crotone», affermava il 12 aprile il presidente Raffaele Vrenna. Un auspicio non propriamente raggiunto. Cinque mesi dopo la città è costretta a giocare le sue partite «casalinghe» a Pescara. Per l’avvio dei lavori era infatti necessaria l’autorizzazione della Soprintendenza archeologica. Tutt’altro che una formalità. «C’è un vincolo di inedificabilità assoluta» specificava la Soprintendenza agli inizi dell’estate. Con tali premesse impossibile stupirsi del «parere negativo sul progetto» espresso dal Soprintendente archeologo della Calabria ad interim, Salvatore Patamia, il 3 giugno. Il giorno seguente arriva a Crotone il nuovo soprintendente. Si chiama Mario Pagano e quando era in Molise aveva autorizzato la costruzione di una palizzata di 16 gigantesche pale eoliche sopra le splendide rovine dell’antica Saepinum, come ha ricordato Gianantonio Stella sulle pagine del Corriere della Sera. E come primo atto il nuovo soprintendente che fa? Smentisce Patamia e autorizza «l’occupazione temporanea dell’area sottoposta a tutela diretta e indiretta con installazioni provvisorie, prefabbricate di tipo leggero, completamente rimovibili, senza operazioni di scavo, per un periodo di due anni». Una autorizzazione, che seppur corredata da precise prescrizioni, rappresenta un vulnus al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Anche il vincolo diretto e indiretto potrà dunque essere superato. Dalla sera alla mattina.

Insorgono le associazioni

«Non c’è certezza sui tempi della rimozione» rimarcano le associazioni culturali Gettini di Vitalba e I sette soli. Ed intanto si è provveduto a trapanare con martelli pneumatici e caterpillar la piastra di cemento che ha già seppellito l’area vincolata. Il tutto col benevolo assenso del sottosegretario ai Beni culturali, la crotonese Dorina Bianchi. «Considerano una tribuna di uno stadio alla stregua di un gazebo da giardino» si infervora Carlo di Giacomo, presidente di Italia Nostra. «Quali strutture, poi, sono in condizioni di poggiare sulla nuda terra senza prima essere ancorate a una solida e poco rimovibile platea in cemento armato? Insomma, un’altra pagina di malatutela. Chissà Milone cosa avrebbe fatto?», conclude ironicamente di Giacomo. Sta di fatto che neanche il grottesco placet della soprintendenza ha garantito l’agibilità dello stadio. Perché all’esito dell’ispezione della commissione Coni, che tanto aveva infervorato la popolazione, sono state riscontrate molte irregolarità. Si va dalla larghezza del campo non a norma, alla presenza di pilastri che nella tribuna coperta oscurerebbero la visuale. Ci sono problemi per il posizionamento delle telecamere della pay per view ed emergono questioni irrisolte sulla sicurezza e in particolare sulla videosorveglianza. Infine, irregolari risultano l’ampiezza dei varchi per l’uscita degli spettatori e i moduli di passaggio della curva sud. Per l’omologazione se ne riparlerà a fine ottobre. Intanto anche Crotone-Palermo, quarta giornata di serie A, si giocherà nel campo neutro di Pescara. A 750 chilometri da Crotone.

 

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«Sequestrate il Football club»

Ma a mettere la pietra tombale al calcio crotonese potrebbe essere la magistratura. La Corte d’appello di Catanzaro ha rinviato al prossimo 19 ottobre la decisione sulla richiesta di sequestro del patrimonio di Raffaele e Gianni Vrenna, avanzata dalla Dda di Catanzaro. Un colosso da 800 milioni che i due imprenditori crotonesi hanno costruito sul business dei rifiuti, per poi tracimare nell’edilizia, senza mai dimenticare la passione giovanile per il Crotone. Per il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e il pm Domenico Guarascio, i fratelli Vrenna sono imprenditori di mafia, così socialmente pericolosi da meritare 5 anni di sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. A detta degli inquirenti anche le loro floride imprese sarebbero state costruite grazie all’appoggio dei clan, per questo devono essere sequestrate. Tutte. Fc Crotone incluso. Il procuratore generale della Corte d’appello, Salvatore Curcio, a sostegno dell’accusa ha chiesto l’acquisizione di una nuova relazione della Guardia di finanza sullo stato patrimoniale del gruppo, dei verbali integrali dei collaboratori Bonaventura e Cortese, ma anche di una sentenza emessa dal Tribunale di Castrovillari alla fine degli anni Novanta. In quel procedimento, i Vrenna erano parte offesa, ma secondo l’accusa, tanto l’istruttoria come le dichiarazioni del pentito Cimino, non farebbero che confermare i contatti dei Vrenna con la criminalità, come la loro condotta spregiudicata. Dalla polvere alla gloria è il titolo di un bel docufilm di Gianni Monte e Domenico Leonelli, sulla storia del calcio a Crotone, uscito in concomitanza dell’inizio del campionato. C’è il rischio, nemmeno tanto lontano, che dalla gloria si ritorni subito alla polvere.