La parabola del Movimento 5 Stelle è legata a un insieme di questioni che non riguardano solo questa forza politica, ma più in generale la politica contemporanea. Le difficoltà attuali del M5S derivano dalla mancata risoluzione di cinque nodi strutturali. Il primo interessa la formazione della volontà collettiva, cioè la capacità di assumere decisioni conciliando orientamenti diversi. Il Movimento ha veicolato un’“ideologia partecipazionista”, basata sull’idea che la crisi della rappresentanza sia superabile annullando ogni mediazione politica e sociale. Il modello organizzativo sperimentato finora consiste nel tentativo di superare le tensioni presenti in ogni processo decisionale con l’eliminazione dei luoghi di discussione e decisione collettiva. Questa eliminazione è stata parzialmente compensata dalla costante chiamata degli attivisti a partecipare a sondaggi e votazioni online su questioni non strategiche per il M5S. Non può funzionare. Ciò che è escluso da una parte ritorna, più forte e complesso, dall’altra. Il Movimento è attraversato da continue tensioni tra la sua dimensione decisionistico-aziendalista, gli eletti e i gruppi locali. Grillo e Casaleggio attribuiscono queste tensioni a nemici sempre più diffusi e pervasivi (la stampa, gli infiltrati, i troll, ecc.). La mancata tematizzazione delle difficoltà oggettive legate alla decisione collettiva conduce sempre, necessariamente, al verticismo (e alla ricerca paranoica del nemico).

Il secondo problema riguarda il passaggio da movimento a istituzione. Questa era la scommessa di questi mesi. Il M5S non ha saputo gestire la sua istituzionalizzazione. L’ha negata, simulando di essere “movimento” mentre si trasformava in partito. Ha assegnato ai parlamentari una funzione meramente comunicativa, di “disvelatori” dei misfatti della casta e di veicolo del messaggio del Movimento. Non ha permesso che svolgessero una funzione pienamente politica. Così, attualmente, il M5S non è né un partito né un movimento. Il suo messaggio utopistico – i comuni cittadini si possono trasformare naturalmente e immediatamente in politici capaci – appare, dopo un anno di attività parlamentare, incrinato.

Il terzo problema è il mancato superamento della dimensione carismatica e di quella “eccezionalistica”, cioè l’apparire come novità radicalmente estranea all’esistente. Il carisma mediatico può inizialmente svolgere la funzione di facilitare l’unificazione di una galassia di soggetti privi di legami e di comunicare all’esterno un’immagine univoca, ma è in larga parte antitetico allo sviluppo e al radicamento sociale di una forza politica. Il M5S non riesce a uscirne: da un lato, il suo consenso sarà sempre legato al nome del suo fondatore; dall’altro, Grillo ha una capacità di attrazione del consenso piuttosto limitata (è considerato inadatto al governo anche da una parte dei suoi elettori) e ostacola il pluralismo interno. L’effetto novità, inoltre, si consuma velocemente.

Quarta questione: il “né destra né sinistra”. La politica non esiste senza distinzioni, divisioni e contrapposizioni. Non è possibile sostenere opzioni valoriali alternative tra loro, né la società è composta da indistinti “cittadini”. Le ideologie, inoltre, non sono finite. Sono in crisi le ideologie di sinistra, e questa crisi è dovuta principalmente a due sconfitte storiche: quella del comunismo e quella del movimento dei lavoratori. Le ideologie di destra (liberismo, razzismo, nazionalismo, autoritarismo), al contrario, stanno benissimo. Come tutte le ideologie, tendono a presentarsi come discorso anti-ideologico, come descrizione oggettiva e realistica della realtà. Se non si sceglie uno specifico campo di appartenenza valoriale, nel tempo si inclina fatalmente verso le ideologie dominanti, proprio perché sono dotate di maggior forza e rispecchiano i rapporti di forza tra i gruppi sociali. È ciò che sta accadendo al M5S, come dimostra il suo avvicinamento alla destra liberista e nazionalista dell’Ukip.

Quinta contraddizione. È molto difficile riuscire a presentarsi al contempo come forza di opposizione anti-sistemica e come forza di governo. La conciliazione tra questi due poli può avvenire solo se una classe dirigente autorevole ha già dimostrato di avere capacità di governo (per esempio a livello locale), se ha e se ha diffuso efficacemente un programma politico che appaia capace di affrontare i principali problemi di un paese, se ha stretto alleanze strategiche con soggetti sociali centrali. Il M5S non ha finora costruito queste tre condizioni. Infine, il sistema politico a cui la “forza antisistema” si oppone deve aver completamente esaurito la sue capacità di ottenere consenso. Questa condizione è stata momentaneamente aggirata dall’effetto-Renzi.

Queste cinque contraddizioni non riguardano solo il M5S. Riguardano, in forme diverse, tutte le principali forze politiche attuali. In particolare, il Pd di Renzi. Quest’ultimo si autorappresenta come antitesi alle forme consolidate della mediazione politica e sociale, ma deve costantemente mediare le proprie politiche con l’Ue e con gli attori economici che lo sostengono. Ha inizialmente agito come una sorta di “movimento” di opposizione al ceto politico, ma è diventato istituzione e governo. Si descrive come forza post-ideologica che supera la distinzione destra-sinistra, ma utilizza retoriche fortemente ideologizzate (competizione, decisionismo, ecc.). La sua ascesa è interamente basata sul carisma mediatico, sulla novità e sull’eccezionalità. Le stesse contraddizioni del M5S potrebbero quindi nel tempo riguardare anche Renzi. Il consenso al suo partito e al suo governo si basano su tre pilastri: il sostegno delle élite economiche; il sostegno dei media; la capacità di valorizzare i diffusi sentimenti antipolitici e la richiesta di rinnovamento. Questi diversi elementi possono risultare difficili da conciliare. La complessità e i tempi della politica potrebbero minare una delle fonti più importanti dell’effetto-Renzi, la serie novità-velocità-rinnovamento. In secondo luogo, le politiche economiche necessarie ad avere il consenso dei ceti medio-bassi non sono compatibili con i vincoli europei e con gli interessi delle élite economiche. Se, però, non saranno almeno parzialmente realizzate, crescerà il divario tra le speranze suscitate e l’azione di governo.

La durata della leadership renziana dipende anche da come riusciranno a organizzarsi i suoi avversari. Il M5S potrebbe avere ancora un notevole spazio politico. Ma dovrebbe affrontare i cinque nodi di cui si è detto. La reazione “fondamentalistica” alla sconfitta elettorale, invece, sembra condurlo nella direzione opposta. Anche per questo, potrebbe crescere lo spazio della sinistra, soprattutto se sarà capace di darsi un profilo riconoscibile e di non generare sfiducia, in chi le ha appena consentito di raggiungere il 4%, sulla sua capacità di sostenere progetti di lungo periodo.