Tra i regni ellenistici formatisi in seguito alla morte di Alessandro Magno (323 a. C.), quello di Pergamo fu, per dimensioni, tra i più piccoli e acquisì la sua indipendenza relativamente tardi rispetto agli altri, ma in poco tempo si guadagnò fama e prestigio. Il primo dinasta che poté fregiarsi del titolo di re fu Attalo I (241-197 a. C.) e lo acquisì – come racconta lo storico Polibio nell’elogio a lui dedicato – dopo aver sconfitto i Galati d’Asia verso il 240 a.C., popolazioni celtiche che si erano stanziate nel cuore dell’odierna Turchia, tra l’altro dopo aver saccheggiato il santuario di Delfi. Attalo li sconfisse di lì a poco in una seconda battaglia e decise di celebrare le vittorie con sontuosi monumenti fatti erigere nel santuario di Atena Nikephoros (portatrice di vittoria) collocato sulla rocca della città. A suo figlio Eumene (197-159) toccò ancora combattere contro i Galati e altri nemici. Ciò non gli impedì di trasformare l’urbanistica e l’architettura di Pergamo, facendone uno dei centri culturali più fiorenti dell’età ellenistica, al pari di Alessandria. Durante il suo regno fu fatto erigere un imponente altare dedicato a Zeus e Atena, i cui resti, recuperati dall’ingegnere Carl Human nella seconda metà dell’Ottocento e ceduti al governo tedesco, costituiscono oggi la pièce de résistance del Pergamon Museum di Berlino, che da esso prende il nome.

Recentemente sembra che Pergamo e la sua cultura godano di una rinata popolarità. Risale a poco più di due anni fa, proprio al Pergamon Museum, una imponente mostra (Pergamon. Panorama der antiken Metropole) dedicata a tutti gli aspetti dell’antico centro, e se ne annuncia una analoga al Metropolitan Museum di New York per il 2016. Tra queste due si incastona una piccola ma raffinata esposizione curata da Filippo Coarelli a Palazzo Altemps (La gloria dei vinti Pergamo, Atene, Roma, fino al 7 settembre) incentrata soprattutto su quello che viene comunemente definito Piccolo Donario pergameno. La sede ovviamente non è casuale, dato che tra le sculture della collezione Ludovisi esposte a Palazzo Altemps vi è il celebre gruppo del Galata che si suicida dopo aver ucciso la moglie, di cui parleremo.

Torniamo ad Attalo I e alla sua vittoria sui Galati. Per celebrarla fece erigere alcuni monumenti con statue di bronzo, di cui restano un basamento rettilineo e uno circolare all’interno del santuario di Atena Nikephoros. Sul primo probabilmente vi era anche rappresentato il re stesso vittorioso, a cavallo. Ma Attalo non si limitò a questo monumento: ne fece erigere uno simile sull’Acropoli di Atene, come ci racconta lo scrittore di guide Pausania che vide una base su cui comparivano scene di battaglia contro i Giganti, le Amazzoni, i Persiani e i Galati. Il modello resta quello pergameno, adattato però al contesto ateniese, come si capisce soprattutto dal riferimento ai Persiani: ma, seguendo le sottili argomentazioni di Coarelli, anche gli altri temi trovano una loro spiegazione. Come accade spesso, celebri opere bronzee greche ci sono note solo tramite riproduzioni di età romana, talvolta restaurate erroneamente secondo il gusto e le conoscenze dei collezionisti moderni. Il cuore della mostra è proprio su un gruppo di sculture di età romana, raffiguranti Giganti, Amazzoni ferite, Persiani moribondi e Galati sconfitti. La maggior parte di esse, sette, fu ritrovata esattamente cinquecento anni fa: a tale data risale infatti la prima menzione che ne fece Filippo Strozzi, cognato di Lorenzo il Magnifico. Quattro passarono poi ai Farnese e sono andati a finire, con il resto della collezione, al Museo Archeologico di Napoli. Altri tre sono stati identificati, con una certa probabilità, con sculture oggi conservate ai musei Vaticani, al Louvre e al Musée Granet di Aix-en-Provence. È molto probabile che vi vadano aggiunti i tre esemplari, un tempo nella collezione Grimani, oggi conservati nel Museo Archeologico di Venezia. Per la prima volta, grazie alla mostra concepita da Coarelli, le sculture sono state riunite e allineate su una base, dietro la statua del Galata suicida, per restituire un’immagine del Piccolo Donario pergameno eretto sull’Acropoli. Completa la mostra una base marmorea, apparentemente anonima, ma in realtà parte di altri elementi del sostegno originale del monumento, ritrovati recentemente dal grande studioso dell’Acropoli, Manolis Korres, una scoperta che arricchisce le testimonianze disponibili sul monumento.

Un modellino in mostra documenta invece la proposta ricostruttiva di Coarelli per il Grande Donario, in cui erano esposte statue bronze di dimensioni superiori al vero. È un tema caro all’autore fin dalla storica mostra I Galli e l’Italia (1978), cui è tornato più volte. Erano note la sua ipotesi di accostare il Galata morente dei Musei Capitolini e il Galata suicida di Palazzo Altemps, in una ricostruzione di alcuni anni fa, e le sue argomentazioni su un disegno inciso sulla base del Galata morente, da lui interpretato come un diagramma compositivo per la disposizione del gruppo marmoreo. La proposta più suggestiva – già suggerita anch’essa alcuni anni fa – è che il gruppo si completi di una quarta figura, raffigurante una madre morta, verso cui si protende un bambino per prendere il latte che essa non potrà più dare. Per supportare di un’immagine quest’ipotesi Coarelli usa una figura del Piccolo Donario, l’Amazzone morta del Museo Archeologico di Napoli, e il risultato viene presentato, appunto, in una ricostruzione che completa l’esposizione.

Abbiamo molto semplificato i temi della mostra e le argomentazioni appassionate del suo autore: queste si possono seguire più agevolmente nel volume monografico pubblicato da Electa, elegantemente illustrato, che accompagna l’occasione di Palazzo Altemps. Alcuni saggi specifici, infatti, permettono di ampliare il tema: dallo specifico dei donari eretti per celebrare le vittorie sui Galati, al ruolo di Pergamo come centro ellenistico di prima grandezza, alla cultura che da esso si diffonde e diviene modello, nel II sec. a.C., per l’Italia, fino al dibattito sull’antropologia del nemico sconfitto. Inoltre il collegamento del gruppo Ludovisi, provenienti probabilmente dagli Horti Sallustiani, con un altro grande vincitore di Galli, Giulio Cesare, credo sia un argomento convincente sulla datazione delle sculture al I sec. a.C.