Cucirsi la bocca a volte può fare meno male che sentire il proprio grido afono, silenziato dal muro invalicabile e intangibile che avvolge i Cie. Nemmeno in carcere – quello “regolamentare” – è facile assistere a una protesta come quella adottata ieri da almeno cinque detenuti immigrati reclusi nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, a Roma. Quattro cittadini tunisini e uno marocchino hanno preso per primi ago e filo e si sono cuciti le labbra per protestare contro la loro permanenza – con “fine pena” indefinito – in quel tipo di prigione tra le più dimenticate che esistano. E ieri sera dal Cie, visitato da una delegazione di Sel, è giunta la notizia di altri immigrati che hanno “aderito” a questa forma di protesta.

«Cambiare profondamente le condizioni delle carceri in Italia costituisce soprattutto un dovere morale», ha scritto ieri Giorgio Napolitano in una lettera indirizzata alla segretaria nazionale dei Radicali italiani, Rita Bernardini, in occasione della Terza Marcia di Natale per l’amnistia. Ma il Capo dello Stato ha ricordato anche l’«imperativo giuridico e politico, imposto sia dalla Convenzione Europea sia dalla nostra Carta Costituzionale» a «far sì che i luoghi di detenzione non umilino la dignità delle persone e corrispondano alla funzione rieducativa della pena». E per questo torna a ricordare che solo «provvedimenti di clemenza generale» possono garantire ormai allo Stato italiano di mettersi in regola entro il termine del 28 maggio prossimo imposto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Fermo restando «ovviamente – ha specificato Napolitano – che spetta al Parlamento, eventualmente sentendo il governo, assumersi la responsabilità di ritenere essenziale o non essenziale, ai fini del rispetto delle indicazioni della Corte di Strasburgo, l’adozione delle ipotizzate misure di clemenza, anche alla luce delle misure che saranno state eventualmente adottate nel frattempo».

L’amnistia e l’indulto però agiscono sul circuito penale e non amministrativo, che è quello che regola la detenzione nei Cie. La questione delle terribili condizioni di vita di questi detenuti resterebbe quindi immutato. Ma è un problema questo sul quale sarebbe molto più difficile far confluire le tante sensibilità e i diversi schieramenti politici che saranno rappresentati nella pur encomiabile iniziativa radicale della III marcia di Natale per la quale Giorgio Napolitano ha espresso ieri il proprio «apprezzamento».

La cronaca registra però che solo Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, ieri ha ricordato che «cucirsi la bocca è un atto terribile, spaventoso, che indica che queste persone devono essere veramente disperate per le condizioni in cui si trovano a vivere». Politica silente, tranne qualche sporadica eccezione, come Luigi Nieri di Sel: «I Cie – ha affermato il vicepresidente di Roma – sono luoghi disumani che vanno definitivamente superati. Pensare che alcuni esseri umani debbano passare 6 mesi in uno stato di reclusione e in condizioni di vita lesive della dignità, solo per illeciti di tipo amministrativo e senza aver commesso alcun reato, è inaccettabile. I diritti dei migranti e il superamento di una legge ignobile come la Bossi-Fini devono essere considerati una priorità per il nostro Paese».

La presidente della Camera, Laura Boldrini, ex portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, ieri mattina invece aveva sottolineato il fatto che anche la società ha tutto l’«interesse a recuperare le persone che hanno sbagliato: devono uscire uomini e donne migliori di quelli che sono entrati se la carcerazione non è tempo morto o peggio ancora abbrutimento ma rieducazione come dice la nostra Costituzione».

Considerazione difficilmente estesa ai reclusi nei Cie anche se, secondo molte statistiche, non più della metà degli immigrati detenuti in quei centri di espulsione vengono poi effettivamente rimpatriati. Se non altro, per effetto del decreto legge varato martedì scorso dal governo, almeno l’identificazione degli immigrati entrati nel circuito penale comincerà appena varcata la soglia del carcere, in modo da alleggerire il passaggio nei Cie. Ma che non basti è sotto gli occhi di tutti.