Cavalli, frecce e gas lacrimogeni. Piazze sempre in fermento, in Brasile, a due settimane dai Mondiali di calcio. Questa volta, a dare il fischio d’inizio sono stati gli indigeni e gli attivisti dei movimenti sociali anti Coppa, scesi in campo per protestare in diverse città. A Brasilia, la polizia a cavallo ha cercato di impedire ai manifestanti di raggiungere uno degli stadi principali che accoglierà la competizione sportiva, il Mané Garrincha. Ai gas lacrimogeni, gli indigeni – fra loro anche vecchi e bambini – hanno risposto con pietre e frecce.

Un poliziotto è stato colpito e portato all’ospedale dove gli è stata estratta la freccia, ma non è in pericolo di vita. L’immagine del nugolo di frecce che raggiunto una moto di polizia ha fatto il giro del mondo. Oltre un migliaio gli agenti dei battaglioni speciali a guardia dello stadio.

Tra il 19 e il 23 maggio, è arrivato anche l’Fbi a impartire corsi speciali anti-sommossa ai poliziotti brasiliani. Molte proteste sono scoppiate a seguito della repressione nelle favelas e il tema della lotta all’impunità è molto presente sugli striscioni dei manifestanti. «Coppa senza popolo, siamo di nuovo in strada», gridavano le associazioni di Senza tetto, in lotta contro sprechi, corruzione e privatizzazioni. Il Movimento dei senza tetto (Mst) è sul piede di guerra per denunciare la speculazione immobiliare e le insufficienti politiche abitative. Il Brasile ha raggiunto anzitempo (prima del 2015) altri due Obiettivi dello sviluppo del millennio, riducendo la mortalità infantile e quella materna per parto, e già aveva ridotto di dieci punti la povertà estrema, nel 2012.

I movimenti, però, chiedono alla presidente Dilma più conseguenza e decisione nei programmi sociali promessi, anche in vista delle prossime elezioni presidenziali del 5 ottobre. Dilma, che si candida alla rielezione, sta recuperando consensi ma, secondo una recente inchiesta, anche i suoi avversari avanzano.

Se non ottiene la metà più una delle preferenze, i sondaggi dicono che andrà al ballottaggio con il senatore socialdemocratico Aecio Neves, a cui viene attribuito il 20% (in crescita) nelle intenzioni di voto, contro il 40% di Dilma. A Neves vanno anche le simpatie dell’ex campione del mondo di calcio Ronaldo Nazario da Lima, membro del Comitato organizzatore locale (Col) del Mondiale 2014.

Ronaldo ha criticato il «ritardo nella costruzione delle opere di infrastruttura, gli aeroporti, la mobilità urbana», e ha detto di sentirsi «insicuro». A suo dire, «il governo dovrebbe tranquillizzare gli imprenditori», altrimenti, lui che aveva intenzione di investire quest’anno in Brasile, non lo farà. Ronaldo ha «fatto autogol contro la sua stessa porta», ha ribattuto il ministro dello Sport, Aldo Rebelo. Anche i manifestanti hanno gridato slogan contro l’ex campione, accusato di speculazioni in vista dei Mondiali.

Gli slogan hanno ricordato la morte di otto lavoratori sui cantieri, denunciato l’insicurezza sui luoghi di lavoro e nei territori indigeni e lo sgombero di 250.000 persone. Indigeni delle diverse etnie hanno anche marciato sul Congresso. Lamentano la lentezza nel processo di demarcazione della terra, il razzismo e gli attacchi dei grandi proprietari. Secondo la Commissione pastorale della Terra, organismo legato all’Episcopato brasiliano, l’anno scorso sono stati uccisi 15 membri delle comunità indigene. Soprattutto colpiti gli yanomami, 5 dei quali sono stati assassinati nello stato di Roraima, ai confini col Venezuela. Per il governo, nelle proteste indigene c’è anche la mano di chi ha interessi oscuri o corporativi.

E intanto, secondo un recente sondaggio dell’Istituo Datafolha, da giugno scorso, quando sono scoppiate le proteste, a oggi, è progressivamente diminuito il consenso della popolazione ai manifestanti: dall’89% al 52%.