The day of reckoning, la resa dei conti sulla folle impresa dell’invasione dell’Iraq in cui Tony Blair trascinò entusiasticamente il paese dietro iniziativa americana, è arrivato. Nei due milioni e mezzo di parole per 12 volumi di cui si compone il rapporto Chilcot, l’inchiesta che ha finalmente visto la luce sette anni dopo essere stata commissionata dall’allora primo ministro Brown.

È stata presentata ieri al centro Queen Elizabeth, vicino Westminster, davanti al quale protestavano attivisti di Stop the War Coalition. È la terza inchiesta parlamentare nel suo genere e segue la Hutton Enquiry (2003) e la Butler Review (2004). È costata dieci milioni di sterline.

L’essenza di questo titanico lavoro di ricerca, lungo quattro volte Guerra e Pace, non era accertare la legalità della guerra – Chilcot la delega alle sedi giuridiche – ma esaminare i fatti preparatori dall’estate del 2001 al coinvolgimento militare nel marzo 2003, fino all’anno in cui fu commissionata, il 2009. E contiene aspre critiche alla condotta di Tony Blair, del suo governo, delle forze armate e dei servizi segreti.

Le principali sono: il fatto che la Gran Bretagna mosse guerra «prima che fossero esaurite le possibilità di pacifica negoziazione» e quando «la guerra non era l’ultima possibilità rimasta»; che l’invasione nel 2003 si basava su «intelligence e valutazioni difettose» che non furono contraddette; che la minaccia posta dalle famigerate armi di distruzione di massa «fu presentata con una certezza ingiustificata». E che il governo e l’esercito sono responsabili per la grave mancanza di un piano efficace che stabilizzasse la regione a conquista avvenuta.

Il rapporto ripercorre tutte le fasi che portarono all’invasione e i caratteri del rapporto quasi maniacale che avrebbe legato Blair al carro di Bush, già follemente lanciato verso la guerra preventiva in chiave antiterroristica post-11 settembre. Fasi che comprendono la discussione sulla necessità legale della risoluzione 1441 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che condizionava l’attacco al rinvenimento delle armi di distruzione di massa: armi che Blair era convinto (mentendo? Il rapporto conclude che era in buona fede) Saddam avesse nascoste tanto bene da impedire alla commissione Onu guidata da Hans Blix di trovarle.

E che soprattutto indagano – assolvendolo – il precipitoso e sospetto voltafaccia del procuratore generale Lord Goldsmith che ritirò un parere legalmente contrario all’invasione senza mandato Onu solo 10 giorni prima senza farlo per iscritto (e soprattutto senza che alcun ministro gli chiedesse come mai). Senza tralasciare la produzione del famigerato dossier farlocco destinato a convincere il parlamento nel 2002 che non ci fosse alternativa all’attacco (trapelato sulla stampa, provocò il discusso suicidio di un funzionario, David Kelly, nel 2003).

In quei dodici tomi dunque c’è nuova luce da gettare sul bislacco e letale sodalizio Bush-Blair. Se inizialmente Blair aveva cercato di placare il prurito del presidente cowboy per l’invasione del paese, in seguito diventa lui la forza trainante nella decisione di attaccare. Fino a mandare al presidente americano dei memo che contengono toccanti profferte di fedeltà matrimoniale: «I will be with you whatever», sarò con te qualunque cosa accada, gli scrive nel luglio 2002 facendo somigliare la special relationship a un rapporto fra il feudatario medievale e il suo scudiero.

Con il peggior attentato suicida mai avvenuto a Baghdad domenica (250 vittime) a nessuno sfugge l’ombra nera che questo atto scellerato – che oggi si cerca meglio di comprendere e condannare – getta ora sul tumultuoso disequilibrio del mondo contemporaneo. Alle centinaia di migliaia di morti civili, più di un milione di dispersi, 179 soldati britannici morti fra il 2003 e il 2009 si somma il caos recato dal sottoprodotto di quell’attacco, lo Stato Islamico, come ha riconosciuto lo stesso Blair. Il quale, vistosi scagionato dall’accusa di aver ingannato il parlamento, ha ribadito che la decisione fu presa in buona fede e si assume tutta la responsabilità per gli errori commessi.

Jeremy Corbyn ha definito la guerra «un atto di aggressione militare sferrato su falsi pretesti» e in aula ha chiesto scusa al popolo iracheno da parte del partito Laburista. Le famiglie dei 179 soldati caduti hanno definito l’invasione un fallimento e non escludono di adire a vie legali. Che potrebbero coinvolgere Blair stesso: Alex Salmond ha offerto il tribunale scozzese per processarlo, visto che la corte inglese non si occupa di crimini commessi a livello internazionale. Un processo internazionale presso la International Criminal Court non è per ora possibile perché la legge violata da Blair è stata introdotta dopo il 2003 e non è retroattiva.