Una firma a Washington influenzerà, ancora, il futuro prossimo del mondo. Ieri il presidente Biden ha vergato il suo nome sotto il testo del pacchetto straordinario che destina quasi 100 miliardi di aiuti militari a Ucraina, Israele e Taiwan e dal suo discorso c’è una sola conclusione certa: la pace in Ucraina è ancora lontana.

Eppure nuove inchieste rivelano che due anni fa c’è stato un momento in cui una tregua sembrava davvero possibile. Non oggi: la macchina bellica si è messa di nuovo in moto a pieno regime, container e aerei cargo sono già in viaggio verso il nostro lato dell’Atlantico carichi di tonnellate di armamenti. «Un aiuto vitale» lo ha definito Zelensky, costretto a fare i conti con depositi vuoti e soldati sfiancati. «Al fronte non cambierà nulla» obietta Mosca, sicura delle posizioni guadagnate negli ultimi mesi. E ventisei mesi di conflitto sanguinoso in Europa dell’est permettono già di affermare che la decisione di Washington non stravolgerà gli equilibri immediati. Quasi in contemporanea la rivista Politico ha rivelato che in realtà l’amministrazione Biden ha già inviato in segreto missili a lungo raggio (Atacms) e che Kiev li ha giù utilizzati due volte per colpire in profondità il territorio di Mosca.

ABBANDONARE l’Ucraina a sé stessa dopo averla rifornita di armi, soldi e speranze per due anni non sarebbe stata una conclusione migliore. Tuttavia, la storia recente ci mostra che non sarebbe stata neanche la prima volta che l’Occidente volta le spalle a un alleato minore in virtù di mutati interessi o contingenze. Intanto da domani sono previste manovre Nato in Finlandia e la portavoce del ministero degli esteri di Mosca ha dichiarato che «le manovre vicino ai confini della Russia aumentano i rischi di possibili incidenti militari». Biden dal canto suo ha tuonato che «se la Russia attacca Paesi Nato, reagiremo».

MA LA DIPLOMAZIA per sua natura lavora in segreto ed è lontano dai riflettori che raggiunge gli obiettivi più inattesi. Sarebbe stato il caso, ad esempio, di una tregua tra Russia e Ucraina nella primavera del 2022. In una lunga ricostruzione documentale e giornalistica, Foreign affairs afferma che per qualche settimana, a soli 60 giorni dall’inizio della guerra, siamo stati davvero vicini alla fine delle ostilità. La rivista è espressione dell’establishment politico statunitense e ha forti legami con il Pentagono, quindi fonte di parte ma non per questo senza valore.

Secondo Fa sia Mosca che Kiev sarebbero state disposte a rinunciare ad alcuni dei punti indicati in pubblico come «inviolabili». Ad esempio: Mosca avrebbe permesso l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue e sarebbe stata disposta a ridiscutere lo status della Crimea tra 10 o 15 anni; Kiev dal canto suo avrebbe rinunciato alla Nato, a un esercito oltre una certa potenza e avrebbe lasciato aperto lo status delle regioni del Donbass. Al centro delle discussioni una questione fondamentale: le garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Il governo di Zelensky ha posto come condizione che qualcuno si facesse, per iscritto (e non, dunque, come nei Protocolli di Minsk) carico della difesa dell’Ucraina in caso di aggressione russa.

Addirittura, scrive Fa, i due belligeranti si erano riusciti ad accordare su questo punto ponendo a garanzia tutto il Consiglio di sicurezza dell’Onu (Russia inclusa) e altri Paesi tra cui Italia, Israele e Turchia. L’accordo sarebbe naufragato perché i negoziatori hanno messo «il carro della stabilità post-bellica davanti ai buoi della fine della guerra»: hanno dato per scontato che gli Usa si sarebbero fatti carico della difesa di Kiev. Aspetto che a Washington non è piaciuto. Quasi in contemporanea le truppe russe hanno fallito l’accerchiamento di Kiev (la «ritirata come segno di buone intenzioni»), le truppe ucraine hanno dimostrato di poter resistere meglio del previsto e gli Usa e la Gran Bretagna hanno preferito investire sulle armi per Kiev all’impegno in prima persona se le cose fossero andare male.

TUTTAVIA QUELLA BOZZA di accordo esiste e l’11 aprile il presidente bielorusso Lukashenko, che fu il primo mediatore dei colloqui di pace, ha chiesto di tornare alla «posizione ragionevole» della primavera del 2022. Nonostante non si fosse giunti a un «compromesso finale» le discussioni erano a uno stadio avanzato e su molti punti c’era intesa. È verosimile ritenere che se i due stati dovessero tornare al tavolo negoziale non sarebbe impossibile trovare ancora punti di incontro. Anche perché, in minima parte, dei contatti ancora esistono: ieri in Qatar una delegazione russa e una ucraina hanno concordato lo scambio di 48 bambini che torneranno nei rispettivi Paesi d’origine.