Sarà la costituzione o il compromesso politico a prevalere? Due giorni dopo l’annuncio dei risultati delle presidenziali del 5 aprile scorso, in Afghanistan è questa la domanda. Sabato la Commissione elettorale indipendente ha reso pubblici i risultati relativi al 100% dei circa 6 milioni e 900mila voti espressi dagli elettori (13 milioni circa gli aventi diritto).

Tra gli otto candidati, a guidare la corsa per la successione ad Hamid Karzai, al potere dal 2001, è l’ex ministro degli Esteri Abdullah Abdullah (foto reuters), con il 44.9% dei voti. Lo segue il tecnocrate Ashraf Ghani, fermo al 31.5%, mentre Zalmai Rassoul, il candidato più vicino al presidente uscente, ha l’11.5%. Né Abdullah Abdullah, già braccio destro del leggendario comandante Massoud e leader dell’Alleanza del nord, né Ashraf Ghani, già ministro delle Finanze e rettore dell’università di Kabul, sono dunque riusciti a ottenere quel 50% di voti più 1 che avrebbe consentito la vittoria al primo turno. La Costituzione prevede il ballottaggio, fissato per il 7 giugno, ma non è detto che si tenga davvero. Per prima cosa bisogna aspettare i risultati definitivi. La Commissione elettorale indipendente ha passato infatti la palla alla Commissione che si occupa dei brogli e ha due settimane a disposizione.

Nel 2009, i voti considerati nulli perché irregolari furono più di 1 milione, tanto che Abdullah rinunciò al ballottaggio contro Karzai. Stavolta la sensazione diffusa è che i brogli saranno meno decisivi. Finora la Commissione elettorale ha annullato «soltanto» 235 mila voti, il 3.4% del totale.

Rituali le dichiarazioni dei candidati. Abdullah Abdullah ha ribadito che i calcoli del suo team lo danno vincente al primo turno, che ci sono state «frodi sistematiche, organizzate». Neanche lui però è davvero convinto che sia sensato insistere su questa strada: ha ottenuto 2 milioni e 900 mila voti circa (900 mila in più rispetto a Ghani) e per raggiungere la fatidica quota del 50% più 1, avrebbe bisogno di altri 335mila voti. Più di quelli già annullati finora. E più di quelli che la Commissione per i brogli potrebbe verosimilmente attribuirgli con il riconteggio (parziale) dei voti. Da parte sua, Ashraf Ghani si dice sicuro che – al netto dei brogli – la distanza tra lui e Abdullah diminuirà.

E continua a negare ogni ipotesi di negoziato sottobanco. È questa la vera incognita: la possibilità che Abdullah e Ghani, che insieme incarnano tre-quarti delle preferenze, trovino un accordo per spartirsi la torta ed evitare il ballottaggio. In molti, in Afghanistan e fuori, spingono per questa soluzione, per ragioni diverse: perché i Talebani aspettano di colpire nuovamente, dopo aver fallito al primo turno; perché le elezioni costano (100 milioni di dollari) e i soldi scarseggiano; perché una eventuale bassa affluenza al secondo turno comprometterebbe il «successo» mediatico del primo, che ha registrato il 60% di affluenza (il 36% donne); e perché gli Stati Uniti hanno fretta di vedere insediato il successore di Karzai, così da veder firmato il Trattato bilaterale di sicurezza con gli Usa, dal quale dipende la presenza delle truppe straniere dopo il compimento della missione Isaf, a fine 2014. Sia Abdullah sia Ghani finora hanno detto di volere il ballottaggio. Ma non è detto che ci ripensino. E infittiscono le relazioni con i candidati minori. A Kabul si dà per certo che Abdullah abbia ottenuto il sostegno di Rassoul (e dunque della famiglia Karzai), e, pare, anche quello dell’islamista Abdul Rasoul Sayyaf, che porta con sé il 7% dei voti e rappresenta un blocco sociale (dei conservatori religiosi) più coeso della variegata compagine che sostiene Rassoul. Altri danno per certa la nascita di una coalizione dei candidati pashtun (7 su 8) contro Abdullah Abdullah, il cui bacino elettorale principale è – grossolanamente – tra i tagiki e gli hazara. È una fase confusa: tutti parlano con tutti, fidandosi di nessuno. È il terreno del grande imbastitore di alleanze, Hamid Karzai. Che ha appoggiato Rassoul senza però aver fatto mancare consigli e assistenza agli altri candidati favoriti, Abdullah e Ghani. Entrambi hanno già detto che merita un posto di rilievo, nel prossimo governo. Tutto lascia supporre che sia proprio lui, ora, il vero ago della bilancia.