Non si arrendono i fautori della legge Fini-Giovanardi annullata dalla Consulta lo scorso 12 febbraio. Dopo il tentativo della ministra della Salute Beatrice Lorenzin, sventato in extremis dal Guardasigilli Orlando, di ristabilire – con un decreto legge usato in via straordinaria per aggiornare le tabelle delle sostanze illegali – la parità tra droghe leggere e droghe pesanti, e tra condotte criminose, ieri la compagine proibizionista della maggioranza è tornata di nuovo all’attacco.

Il tentativo, questa volta scongiurato dalla presidente della Commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, è quello di agire in sede di conversione del decreto Lorenzin con emendamenti che mirino a separare in due tabelle diverse la cannabis “naturale” e il Thc “sintetico” (da parificare all’eroina e alla cocaina) a cui poi dovrebbero essere assimilate anche le piante di marijuana «selezionate geneticamente per ottenere un’alta concentrazione della stessa sostanza», come spiega una nota emessa ieri dai deputati Gian Luigi Gigli e Paola Binetti (Popolari per l’Italia), Eugenia Roccella e Alessandro Pagano (Ncd) che, in polemica con la presidente Ferranti, hanno abbandonato i lavori delle commissioni Giustizia e Affari sociali, riunite in seduta congiunta. In poche parole, si cerca di far rientrare dalla finestra ciò che è stato gentilmente accompagnato alla porta dalla Consulta. Contemporaneamente, dopo una giornata di spot sul sistema di allerta precoce del Dipartimento antidroga (Dpa), con allarmi sullo «spaccio on line» e sul «pericolo nuove sostanze», ieri sera la ministra Lorenzin ha innescato la miccia: «Il consumo di droga è un’emergenza nazionale – ha detto -; ai giovani bisogna insegnare che drogarsi fa male, avvelena l’anima, uccide il corpo e le prospettive di vita. Non ha senso da questo punto di vista la distinzione tra droghe leggere e pesanti».

Dunque un nuovo attacco proibizionista su più fronti. Prima i quattro deputati hanno accusato la presidente Ferranti di aver «fortemente limitato la discussione sull’emendamento Gigli-Binetti» che, secondo loro, tentava di evitare che «il tetraidrocannabinolo, nocivo e vietato se in pillole», diventasse «socialmente accettabile e lecito se fumato». E come nel 2006, quando la legge venne varata, si confonde il piano scientifico con quello morale: «Un messaggio – aggiungono i deputati – fortemente diseducativo e ideologicamente viziato dalla cultura dello spinello». Dal canto suo, Donatella Ferranti si è difesa: «Non c’è stata alcuna strozzatura della discussione». Conferma il presidente della commissione Affari sociali, Pierpaolo Vargiu (Sc): «La discussione si è svolta nel massimo rispetto e con grande civiltà, pur trattando di materie che riguardano temi etici e di coscienza». «Sono attacchi e critiche pretestuose e strumentali», ribatte Ferranti. E in effetti poco dopo ecco scendere nell’arena l’autore della legge che si vorrebbe ripristinare, peraltro proprio in sede di conversione di un decreto, cioè con la stessa modalità sanzionata dalla Consulta: «È di palmare evidenza, per chi non ha paraocchi ideologici, che cannabinoidi con alta concentrazione di principio attivo, naturali o sintetici che siano devono stare nella stessa tabella – è l’intervento di supporto di Carlo Giovanardi – mentre la cannabis di una volta, a bassa concentrazione, può rimanere in una tabella separata». La cannabis “che non si trova più”, sembra voler dire il senatore del Ncd.

I nervi di Giovanardi sono evidentemente a fior di pelle e la partita che si sta giocando è molto più grande di quello che potrebbe sembrare. In ballo, per esempio, c’è anche la (mancata) riconferma dell’amico di sempre, Giovanni Serpelloni, a capo del Dpa. Organismo che, anzi, potrebbe essere smantellato, come sembrerebbe nelle intenzioni di Matteo Renzi, per tornare al vecchio assetto delle deleghe ante 2008. Se infatti il Pd, esprimendo un «giudizio negativo sull’operato di Serpelloni» – come riferito dal responsabile Sanità, Federico Gelli, a Redattoresociale.it – spinge per un cambio al vertice in favore di «una figura con maggiore equilibrio», Giovanardi invece è lapidario: «La non conferma risulterebbe assolutamente incomprensibile». E contro l’inamovibile capo del Dpa si schiera anche il Cnr che, rispondendo alle dichiarazioni rilasciate ieri al manifesto, smentisce il raiss dell’antidroga: «Nessun problema di privacy rispetto alle ricerche condotte dal Consiglio nazionale delle ricerche sull’uso di sostanze stupefacenti tra la popolazione italiana». Secondo Serpelloni infatti il Cnr non sarebbe legittimato per legge a somministrare questionari con dati sensibili e quindi i suoi studi sull’uso delle sostanze tra i giovani non sarebbero giustificati (oltre che non condivisi dal Dipartimento). Ma il Cnr ricorda a Serpelloni che i questionari sono completamente anonimi.

È in questo clima che arriva l’«allarme nazionale» della ministra Lorenzin. E quando c’è un allarme, si sa, non si può andare troppo per il sottile. Con i ragionamenti e con il rispetto delle sentenze.