Ci siamo. Le prime conseguenze del commissariamento di Roma cominciano a scaricare i loro acidi effetti.

Il taglio agli stipendi dei dipendenti comunali romani è una di quelle decisioni che potrebbe terremotare i già precari equilibri dell’amministrazione Marino, che, di suo, certo non gode di buona salute. Le manifestazioni, i cortei spontanei, l’occupazione di piazza del Campidoglio, i blocchi stradali e perfino il dirottamento di un autobus che ieri si sono visti in città stanno lì a segnalare non solo l’entità delle politiche restrittive che il Comune è obbligato a praticare, ma anche l’individuazione del bersaglio che tali politiche hanno scelto di colpire. Prendersela con impiegati, maestre, assistenti sociali, vigili urbani, tecnici, custodi, ecc. significa colpire quegli strati di occupati che vivono con redditi bassi, economie familiari già stremate e al limite della sopravvivenza. E certo non saranno le indicazioni della Corte dei conti a giustificare questa decisione, né possono rappresentare una copertura politica per un’amministrazione che nei fatti non sa come andare avanti, strangolata dal debito e sotto stretta sorveglianza governativa.

Il salario accessorio che il sindaco vuole eliminare dalle buste paga dei dipendenti comunali altro non è se non quello stretto margine integrativo di stipendi bloccati da quasi un decennio.

L’unica possibilità lasciata alla contrattazione sindacale, l’unica possibilità di adeguare (ma solo in parte) retribuzioni basse e bassissime.

Ed è per questa ragione che la reazione dei lavoratori comunali ieri è stata così intensa: difficile ricordare episodi analoghi nella storia recente della città. Una reazione che di sicuro si svilupperà ulteriormente, con scioperi e chissà cos’altro. Assisteremo al primo conflitto sociale derivante dalle politiche assassine del patto di stabilità.

Si passerà poi a nuovi e ulteriori riduzioni delle disponibilità di stato sociale, servizi ridimensionati o del tutto eliminati. Toccherà poi all’alienazione del patrimonio pubblico, alla vendita ai privati di quote societarie delle aziende comunali, alla privatizzazione di segmenti di welfare. E tutto ciò in parallelo ai morsi che la crisi economica continuerà a distribuire sulle fasce sociali più esposte. Laddove crescerà la domanda di sostegno, servizi, tutele di vario genere, corrisponderà una riduzione dell’offerta comunale.

Marino ha scelto l’obbedienza. Non si discosterà dalle imposizioni finanziarie che gli hanno ritagliato addosso, come contropartita per il trasferimento finanziario di cui ha goduto. E si ritroverà nel pieno del conflitto sociale, di cui la giornata di ieri è solo la prima avvisaglia. Intanto, Roma continuerà a deperire e sfiorire, senza programmi né prospettive, sempre più impoverita e depressa.